Avv. Michele Gremigni
Il Presidente dell’Ente Cassa di Risparmio di Firenze
Brig. Gen. Carlo Colella
Il Comandante dell’Istituto Geografico Militare
L’Istituto Geografico Militare e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze rinnovano quella fruttuosa collaborazione che rese possibile, nel 2004, la pubblicazione del monumentale Italia. Atlante dei tipi geografici, riedizione dell’Atlante di Olinto Marinelli del 1922, frutto del lavoro congiunto di geografi appartenenti a ben 39 atenei italiani. Le due Istituzioni hanno, infatti, deciso di procedere alla pubblicazione del volume del ricercatore Luca Lupi, che ha condotto a termine i suoi lunghi studi e le sue ultradecennali ricerche sulla Dancalia, con particolare riferimento alle regioni abitate dalla popolazione Afar e note appunto come “triangolo degli Afar”, una delle zone più disagiate del pianeta, eppure straordinariamente importante da un punto di vista geografico, geologico ed etno-antropologico. L’interesse entusiasta e partecipe del Lupi per il territorio dancalo è nato sui banchi dell’Università di Pisa, dove ha avuto il privilegio di essere allievo del professor Giorgio Marinelli, figlio del ricordato Olinto ed organizzatore di numerose spedizioni scientifiche in Africa per lo studio della Rift Valley, occupata, nella sua parte più settentrionale, proprio dalla Dancalia; tale interesse si è accresciuto con la sua personale partecipazione all’esplorazione vulcanologica effettuata nella regione degli Afar nel novembre del 1997. Da quel momento, l’autore non ha smesso di effettuare ricerche sulle caratteristiche fisiche e sulla storia di questo lembo del Corno d’Africa, giungendo a mettere insieme tutto il materiale ad oggi disponibile sull’argomento ed ordinandolo nelle quattro sezioni in cui è articolata l’opera. La prima di esse descrive la geografia fisica ed umana dell’area, nella seconda sono illustrate la storia passata e recente e la struttura sociale degli Afar, mentre gli ultimi due capitoli sono dedicati prima alla lunga e ricchissima esplorazione dell’Africa e dell’Abissinia e poi, con particolare riferimento alla Dancalia. Proprio da quest’ultima, più ampia sezione del libro – non a caso l’autore ha voluto aggiungere un sottotitolo al volume pubblicato: “L’esplorazione dell’Afar, un’avventura italiana” – nasce la valutazione che l’Istituto Geografico Militare e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze hanno dato dell’opera di Luca Lupi. L’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, da sempre sollecito sostenitore di quanto possa promuovere l’immagine di Firenze in tutti i campi dell’ingegno umano, sia artistici che scientifici, ha perciò aderito all’invito per la pubblicazione del volume in quanto, nella plurisecolare storia della conoscenza italiana dei quei territori, un ruolo di primissimo piano spetta ai pionieri, viaggiatori, studiosi e scienziati toscani che li hanno percorsi segnando le tappe delle conoscenza di quell’area, ancora oggi in cerca di una definitiva sistemazione geopolitica. Da parte sua, l’Istituto Geografico Militare, fin dagli anni ’80 dell’Ottocento, fu impegnato in Dancalia, in difficilissime condizioni ambientali e di lavoro, con i propri Ufficiali e topografi civili, che, nel giro di alcuni decenni, riuscirono a portarne a termine la prima completa immagine cartografica, geometricamente corretta, che è andata a costituire un patrimonio documentario gelosamente custodito presso gli archivi dell’Ente ed a cui l’autore del presente volume ha necessariamente attinto a piene mani. L’I.G.M trova inoltre motivi di interesse nell’opera del Lupi legandolo all’attuale impegno per un progetto internazionale denominato Multinational Geospatial Co-Production Program (MGCP), nell’ambito del quale sarà prodotta, tra l’altro, la cartografia alla scala 1:50.000 di tutto il Corno d’Africa. La vastità dell’argomento e la ricchezza del corredo fotografico (foto panoramiche storiche, foto aeree, immagini da satellite) e cartografico raccolto dal Lupi hanno imposto la suddivisione della pubblicazione in due volumi, il primo dei quali vede oggi la luce, con l’augurio che si possa addivenire quanto prima al completamento dell’opera con la seconda parte, interamente dedicata alle esplorazioni novecentesche. L’Istituto Geografico Militare e l’Ente Cassa di Risparmio di Firenze, nel licenziare il presente lavoro, auspicano di avere apportato, ancora una volta, un significativo contribuito ad una migliore conoscenza del mondo ed a quell’arricchimento che la conoscenza dell’“altro”, diverso e lontano da noi, può arrecare per una positiva solidarietà tra le diverse genti che popolano il pianeta.
Presentazioni ufficiali di Geologi:
Enrico Bonatti
(docente di Geodinamica all’Università La Sapienza di Roma, Senjor Scientist Lamont Doherty Earth Observatory della Columbia University)
Vi sono sulla Terra alcuni luoghi che hanno un significato particolare: sono luoghi dove l’energia interna del nostro Pianeta, manifestandosi in maniera particolarmente intensa in superficie, plasma in modo estremo e spettacolare la geografia ed il paesaggio. Un esempio sono le grandi catene montuose, come l’Hymalaia, che si sollevano a causa di immani collisioni tra blocchi continentali. All’altro estremo vi è sulla Terra una regione unica, dove un continente si sta letteralmente “spaccando” per dare origine ad un nuovo oceano. Questa è la regione dell’Afar (Dancalia) nell’Africa orientale, tra il Mar Rosso, l’Eritrea, l’Etiopia e l’imboccatura del Golfo di Aden a Djibouti. In questa regione convergono tre grandi rift o fratture della crosta terrestre: da sud il rift Est Africano, che taglia come un’enorme cicatrice l’Etiopia, il Kenia, la Tanzania fino quasi al sud Africa; da est il rift che ha formato negli ultimi 10 milioni di anni il Golfo di Aden, e da nord il Mar Rosso. Al di sotto di questa regione, nel mantello terrestre, una forte anomalia termica ha causato un intenso magmatismo ed ha contribuito probabilmente a fratturare la litosfera continentale. La Dancalia è una regione di una bellezza aspra e sconvolgente, in buona parte al di sotto del livello del mare, squassata da frequenti terremoti e costellata di vulcani. Una regione di difficile accesso, dal clima estremo, secco, dove si raggiungono tra le temperature più alte del Pianeta, ma dove, sfidando queste condizioni difficili, vivono popolazioni nomadiche fiere e nobili. Luca Lupi con straordinaria passione e competenza, ha sintetizzato in questi due volumi un’enorme mole di informazioni, dati ed immagini sugli aspetti geografici, geologici, storici ed antropologici della Dancalia. Mentre il primo volume tratta soprattutto degli aspetti storici ed antropologici, il secondo si concentra sull’esplorazione geologica. I testi sono accompagnati da un’amplissima documentazione, raccolta da Luca Lupi dalle fonti più disparate, con un istinto ed una pazienza da detective: passiamo da mappe di fine ottocento a recenti immagini satellitari; da schizzi e disegni dei primi esploratori a foto delle ultime spedizioni; dai vecchi documenti delle potenze coloniali e resoconti e lettere di viaggiatori, a testi scientifici sulla geologia, biologia ed antropologia della regione. Gli aspetti geologici, come già accennato sopra, sono di grande interesse. Meno di cinquanta anni fa una grande rivoluzione scientifica ha portato ad una nuova concezione del funzionamento del nostro Pianeta, che includeva l’accettazione dell’ipotesi della Deriva dei Continenti, e nuove idee sui processi che accompagnano la nascita di un oceano. C’è un luogo sulla Terra dove questi processi possono esser osservati “in diretta”, e dove queste idee possono esser verificate: il Mar Rosso in generale, e la Dancalia in particolare. Il Mar Rosso è un oceano in embrione, che si sta aprendo per la graduale separazione dell’Arabia dall’Africa. Nella sua parte meridionale l’asse “oceanico” del Mar Rosso è spostato in quella che oggi è terraferma, nel rift Afar, cioè in Dancalia. Giorgio Marinelli e Haroun Tazieff intuirono subito alla fine degli anni sessanta che la Dancalia era una sorta di “laboratorio naturale” dove le nuove idee potevano essere verificate, e lanciarono in quegli anni una serie di spedizioni, cui ho avuto la fortuna di partecipare. Luca Lupi ci dà un resoconto approfondito di queste spedizioni, ed anche di molti precedenti tentativi da parte di esploratori europei (alcuni finiti tragicamente), di penetrare in questa difficile regione. Ci descrive l’interazione straordinaria tra l’aspra terra di basalti neri e di bianche accecanti piane di sale e gli indigeni dancali che da tempo immemorabile vagano in questa regione con i loro cammelli. Questi volumi di Luca Lupi sono preziosi anche perché contribuiranno a mantenere la memoria di questi abitanti di una regione unica che, pur così remota ed inaccessibile, inevitabilmente sta cambiando nel tempo.
Franco Barberi
(docente di Vulcanologia e di Geotermia nell’Università di Roma Tre, prima assistente di Giorgio Marinelli all’Università di Pisa)
Poche zone della Terra riuniscono una così straordinaria quantità di motivi d’interesse come la Dancalia (Afar) nell’Africa Orientale. Una regione per molto tempo inaccessibile e quindi misteriosa, abitata da popolazioni nomadi fiere, orgogliose e anche aggressive, marcata da epiloghi spesso tragici delle poche missioni esplorative del secolo scorso. Una regione difficile, priva di strade, con pochissimi punti d’acqua e con un clima torrido, anche perché geograficamente depressa, con vaste zone al di sotto del livello del mare marcate da deserti di sale. Per secoli l’unico collegamento della Dancalia con il resto dell’Africa e del mondo è avvenuto attraverso le carovane di cammelli che trasportavano sull’altipiano etiopico blocchi di sale tagliati con tecniche rudimentali dalla Piana del Sale, nella parte settentrionale della depressione. La forma regolare, perfetta di queste piastre di sale, tutte uguali fra loro, era dovuta al fatto che per molto tempo erano state usate come moneta nell’Africa Orientale. Osservare queste interminabili carovane di cammelli carichi di sale era impressionante: si veniva trasportati indietro nei secoli, o meglio nei millenni, in una sorta di scenario biblico immutato e immutabile. L’altro aspetto straordinario della Dancalia è la bellezza dei paesaggi, il forte contrasto dei colori: il bianco del sale , lo scuro delle colate laviche, il giallo e il rosso dei depositi idrotermali vicino alle sorgenti di acqua termale salata. Eccezionale è poi il suo interesse geologico, perché vi si possono osservare gli stadi embrionali della formazione di un nuovo oceano attraverso la spaccatura di un continente, marcati da una miriade di eruzioni vulcaniche, caratterizzate per lo più da colate di lave basaltiche emesse da enormi fratture. L’esplorazione scientifica della Dancalia degli anni ’60 e ’70 ad opera delle spedizioni franco-italiane guidate da Giorgio Marinelli e da Haroun Tazieff, avvenne in un momento cruciale delle Scienze della Terra quando andava affermandosi la teoria della Tettonica delle placche, versione moderna della Deriva dei continenti. Il successo scientifico di quelle ricerche fu strepitoso e il team Afar si conquistò uno straordinario prestigio internazionale. Per le Scienze della Terra italiane quest’affermazione internazionale fu di grande importanza anche perché contribuì a sollevarle dal provincialismo mediocre nel quale troppo a lungo erano rimaste confinate. Se i risultati scientifici delle spedizioni in Dancalia sono documentati da innumerevoli pubblicazioni su riviste internazionali e dalla carta geologica di questa enorme zona, che si estende dal confine con l’Eritrea a nord alla regione di Gibuti a sud, altri aspetti relativi alla sua storia, alle più antiche esplorazioni geografiche e anche tanti particolari delle spedizioni di Marinelli e Tazieff rischiavano di perdersi con il trascorrere del tempo. Con un lungo, appassionato, meticoloso lavoro di raccolta di dati, notizie e illustrazioni, Luca Lupi rinnova l’interesse sulla Dancalia e offre a chi non la conosce gli elementi per scoprire e apprezzare questa bellissima zona, d’importanza geologica straordinaria e ancora oggi di difficile accesso. Leggere questi due volumi mi ha dato una grande emozione, trasportandomi indietro nel tempo, facendomi rivivere le tante forti sensazioni provate nella lunga avventura dell’esplorazione geologica della Dancalia, alla quale ho avuto il privilegio di partecipare. Sono grato a Luca Lupi anche per la dedica a Giorgio Marinelli, uno scienziato brillante, pieno d’idee e di iniziative, che non ha avuto in vita tutti i riconoscimenti che avrebbe meritato.
Mauro Rosi
(docente di Geochimica e Vulcanologia e direttore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa)
Accolgo con piacere l’invito a contribuire ai due volumi di Luca Lupi con una piccola nota di introduzione. Lo faccio nella duplice veste di allievo e collaboratore scientifico di Giorgio Marinelli, cui il volume è dedicato e di attuale direttore del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Università di Pisa, dove Marinelli ha svolto gran parte della sua carriera come docente di petrografia. I volumi costituiscono un omaggio alla sua figura, fatto attraverso il racconto e la documentazione delle spedizioni scientifiche in Africa Orientale (Etiopia, Eritrea, Gibuti) e in particolare nella regione della Dancalia, spedizioni che concorsero ad un grande avanzamento della scuola geologica della Toscana e di Pisa in particolare. Partendo da uno stimolo familiare (il padre Olinto era stato uno dei grandi geografi italiani che partecipò, nel 1905 a una missione di studi geologici a geografici in Eritrea col famoso geologo Giotto Dainelli e ne scrisse i rendiconti), Giorgio Marinelli ebbe l’intuizione di avviare, insieme ad Haroun Tazieff, un grande progetto di studio geologico di quella regione in un momento in cui il fermento di nuove idee che attraversava la comunità geologica mondiale assegnava a queste parti del globo un’importanza strategica. Lo stimolo derivante dall’ambizione e dal prestigio delle ricerche in questa difficilissima ma appassionante regione, chiamò a raccolta un gran numero di brillanti giovani ricercatori, specializzati in diverse discipline geologiche. L’operazione ebbe un successo strepitoso. La zona prescelta da Marinelli ebbe una letterale esplosione di interesse scientifico e la Dancalia in particolare divenne l’area chiave più importante a livello globale per la comprensione del processo di formazione di un nuovo oceano a partire dalla frammentazione di una massa continentale. La rilevanza mondiale delle problematiche affrontate, congiunta alla qualità scientifica dei protagonisti, trascinò in un vortice di crescita la scuola geologica Italiana e Francese come testimoniato dal gran numero di pubblicazioni scientifiche su riviste di prestigio e con l’attribuzione di premi scientifici conferiti a Franco Barberi e Jaques Varet dall’Associazione Internazionale di Vulcanologia e Geochimica. La ricerca scientifica ha una biologia propria caratterizzata da andamenti diversi. I momenti più esaltanti, in cui si conseguono i risultati più alti, sono quelli durante i quali un gruppo di scienziati è attraversato dalla voglia di concorrere, in modo sinergico, al conseguimento di un grande risultato che diventa percepito come il risultato del gruppo. L’innesco di questo spirito passa spesso per la scelta di un tema sentito dall’intero gruppo come “meritevole” di rappresentare l’obiettivo di ciascuno e dell’intera squadra. Credo di poter affermare con pochi dubbi di essere smentito che Marinelli abbia avuto l’indiscusso merito di avere acceso questa fiamma con lungimiranza e generosità, di fatto catalizzando un processo entro il quale sono cresciuti e si sono affermati, anche in autonomia, una schiera di scienziati divenuti, in poco tempo, di calibro internazionale. I due volumi che Luca Lupi ha messo insieme, attraverso anni di lavoro grazie al quale sono stati raccolti e riuniti una miriade eccezionale di documenti e di informazioni, costituiscono principalmente un “atto d’amore” verso quella vastissima schiera di italiani che hanno eroicamente speso parte della loro vita in una delle regioni più ostili della Terra, spinti dalla passione di esplorare, documentare e studiare. Il risultato che colgo è quello di dare visibilità ad un’Italia che c’è o per lo meno c’è stata. L’esempio di Marinelli può essere letto, in chiave moderna, come lo stimolo la fomentare la ricerca di rango, soprattutto a favore dei giovani ricercatori, andando oltre gli interessi particolari. L’attuale crisi profonda, anche di identità, in cui il mondo della ricerca e l’università italiana si trovano, richiede azioni legislative forti e l’allocazione di opportune risorse finanziarie. Sarebbe tuttavia miope non riconoscere che parte di questa crisi coinvolge responsabilità che ricadono su noi tutti. Ricordare e sottolineare i meriti di figure come quella di Giorgio Marinelli dovrebbe servire per riflettere su dove e come le nostre energie dovrebbero essere più utilmente spese per migliorare il sistema di cui facciamo parte.
Bruno Zanettin
(già docente e direttore del Dipartimento di Mineralogia e Petrologia dell’Università di Padova)
Alla Dancalia, o Afar, e alla sua esplorazione Luca Lupi, lui stesso esploratore in anni recenti, ha dedicato due volumi. Due ponderosi volumi per raccontare la lunga avventura che ha visto quattro generazioni di italiani protagonisti della esplorazione di una terra difficile, desolata, ma di eccezionale interesse scientifico e umano. Tra poco l’autore di quei libri ripercorrerà brevemente le tappe salienti di quella lunga avventura. Io mi limiterò a commentare a modo mio qualche tema fra i tanti trattati da Luca Lupi; non prima però di aver avvertito i presenti che quei volumi, oltre ad un testo agile , sempre limpido, ben comprensibile e corredato da foto stupende, presentano una serie di carte topografiche, anche rare, e preziosi documenti di carattere politico-diplomatico degni di uno storico di professione. Dico questo perché mi pare che Lupi voglia evitare di essere scambiato per uno storico di stampo accademico. Quello che posso dire io che ho passato la mia vita in ambiente scientifico, è che l’opera presentata da Luca Lupi è un prezioso contributo non solo alla storia, ma alla scienza; ed è anche un riconoscimento a tutti coloro che hanno operato in Dancalia oltre che un invito agli uomini che amano o sognano la vita libera, l’avventura. Ma cos’è questa Dancalia? Perché tanta importanza? Tutti sappiamo che si trova in Africa, ma io voglio ricordare a chi l’avesse dimenticato che, nel corso di centinaia di milioni di anni, un’Africa molto più grande di quella attuale si è andata frantumando, ha visto andare alla deriva grandi porzioni del suo corpo iniziale. Da esso si è staccata, ad occidente, ciò che ora è il Sudamerica, ad oriente se ne sono andate da tempo prima l’India, poi il Madagascar e, più recentemente, l’Arabia, separata dall’Africa solo da un lungo ma ancora stretto oceano, il Mar Rosso, e dal Golfo di Aden. Stiamo ormai arrivando a parlare della Dancalia. Mar Rosso e Golfo di Aden sono due bracci di un triplice sistema di rift, cioè due depressioni, entrambe ormai sommerse dal mare; il terzo braccio di quel sistema di fratture che si incrociano a 120° l’una dall’altra è il rift etiopico e la Dancalia, la depressione dancala, si trova proprio al punto d’incontro di quelle fratture, ed essendo ancora emersa ne possiamo studiare il fondo. Questi rift, queste spaccature della crosta terrestre, sono, oltretutto, sede di una continua attività vulcanica. Come si vede, ce ne sarebbe già abbastanza per fare della Dancalia un territorio di studio di eccezionale importanza dal punto di vista scientifico, geologico in particolare. Potrebbe sembrare strano che questo aspetto geodinamico della Dancalia sia trattato nei capitoli che concludono l’opera di Luca Lupi. Ma è giusto così, dato che la conoscenza dei fenomeni connessi alla deriva dei continenti si è sviluppata solo negli anni Sessanta e Settanta del secolo appena concluso. Ed è stato quindi solo a partire da quegli anni che in questo settore africano si sono succedute équipes di geologi di tutto il mondo, fra i quali un ruolo preminente è stato assunto proprio dagli studiosi italiani. L’impresa più recente, con cui si chiude il secondo volume di Lupi, si colloca infatti alla fine del Novecento con l’impresa di uomini appartenenti alla quarta generazione di esploratori italiani, riuniti nei gruppi “Vulcano Esplorazioni” e “Argonauti Explorers”; di questi faceva parte, con un ruolo non secondario, proprio l’autore dei volumi citati: un uomo che alla Dancalia ha dedicato passione e fatica. La storia che Lupi ci racconta nei suoi libri comincia molto prima che la Dancalia divenisse una delle aree della terra di maggior significato scientifico. Comincia nel 1869 in concomitanza con l’apertura del canale di Suez. I primi passi dell’esplorazione della Dancalia si confondono con i primi tentativi dell’Italia di entrare nel grande gioco del colonialismo, in concorrenza con due forti rivali: l’Inghilterra e, soprattutto, la Francia. E fu proprio sulla costa dancala, ad Assab, che ebbe inizio quella politica che 60 anni più tardi, nel 1935-36, avrebbe portato al conflitto italo-etiopico, ultimo, breve sussulto del colonialismo europeo. Limitando il discorso al piano geografico-esplorativo dico che è un particolare merito di Lupi se i lunghi, travagliati progressi conoscitivi raccontati nei suoi scritti si possono seguire agevolmente mediante la sola osservazione della sequenza di belle, rare carte topografiche da lui reperite negli archivi. A partire da quelle più antiche, nelle quali il “bianco”, cioè la parte inesplorata, è interrotta da sempre più fitti segni riferibili ai rilievi via via scoperti e sempre più correttamente posizionati, fino a raggiungere l’attuale completezza. È interessante leggere, scoprire, come, nell’esplorazione di quel territorio, spirito scientifico e spirito nazionalistico abbiano viaggiato di pari passo. Oggi si resta quasi increduli leggendo dei sacrifici, talora veri e propri eroismi, compiuti per far luce su un mondo ignoto, per tener fede ad ideali che oggi possono essere visti come delle colpe. L’impressione che si ricava è che molti di quegli uomini agissero comunque in buona fede, anche se non sono mancati episodi deprecabili. Tutto il racconto dell’esplorazione della Dancalia ha come sottofondo l’insieme di cause che hanno reso tanto difficile la penetrazione di quel territorio da parte degli europei: la complessa, accidentata morfologia del terreno, costellato di piccoli e grandi edifici vulcanici e spesso sbarrato da dure colate di lava; il caldo torrido, accompagnato dalla quasi totale assenza di acqua potabile, di pozzi; e infine il popolo che lo abita, i Dancali, gli Afar. Mi soffermo un momento su questa popolazione di nomadi, di pastori-guerrieri che vivono dispersi in piccole tribù nell’infuocato deserto dancalo. Io conoscevo già le vicende che nell’Ottocento avevano portato al massacro delle piccole spedizioni italiane che avevano osato inoltrarsi nelle loro inospitali regioni, quella di Giulietti nel 1881, quella di Bianchi pochi anni dopo (1884). Su quegli eccidi erano stati versati in patria fiumi di inchiostro che mettevano in rilievo la ferocia quasi congenita dei dancali, la loro crudele cultura. Poi, nel 1966, avevo personalmente conosciuto quel popolo di nomadi in occasione della prima traversata con automezzi della grande depressione dancala, e negli anni successivi avevo ripreso i contatti con loro nel corso delle mie peregrinazioni nei territori da loro gelosamente custoditi. Credevo così di conoscere quelle genti, di essere ormai rimasto uno dei pochi italiani che potesse parlare di loro con conoscenza di causa. Ma il primo volume di Luca Lupi sulla “Dancalia” mi ha fatto capire che, di fatto, sapevo ben poco di quelle genti. Infatti egli parla delle loro usanze, della loro organizzazione sociale, della loro erratica vita con la competenza di un raffinato etnologo. Ciò che mi ha maggiormente colpito è stata la ricostruzione, che egli fa, dell’albero genealogico dell’attuale, e per lungo tempo semi-misteriosa, famiglia regnante, il cui capostipite già alla fine del Seicento si affermava su precedenti dinastie di sultani (Anfari). Ho avuto così quasi la rivelazione di essere stato, senza saperlo, non in mezzo ad un popolo semplicemente primitivo, barbaro (se è lecito usare questa parola), ma piuttosto un anacronistico intruso in un regno che, a causa di un volontario isolamento fisico e culturale, rappresenta un modello vivente, di ciò che dovevano essere i regni di 3-4.000 anni fa, un modello sopravvissuto all’avanzare della civiltà. Per concludere, ritorno brevemente su un punto che già ho citato come uno dei fattori che hanno reso tanto difficile e sofferta l’esplorazione della Dancalia: il clima torrido. Siamo infatti in prossimità dell’Equatore, fra 10° e 15° nord, ma a differenza delle altre parti d’Africa, situate a quota più o meno elevata o coperte da fitta vegetazione e ricche di corsi d’acqua, la Dancalia è in gran parte desertica. Non è un deserto di sabbia, ma un territorio coperto da nere rocce basaltiche che si arroventano al sole al punto che nelle ore pomeridiane il geologo che le debba campionare deve usare qualche precauzione nel maneggiarle. In Dancalia non ci sono nubi, il cielo è sempre terso, non c’è inquinamento atmosferico, e i raggi solari non trovano ostacoli che ne attenuino la forza; il sole batte implacabile dall’alba al tramonto. La conseguenza è che la temperatura media annua, ci ricorda Lupi, è di 32° C, 20° di più che in Italia, con punte che vanno ben oltre i 50°. Ma sono 50° all’ombra, e in Dancalia l’ombra non c’è. Proprio per questo molti viaggiatori del passato marciavano solo di notte. Ma i geologi (e non li cito per spirito di corpo) devono viaggiare di giorno, il loro compito primario è quello di osservare, di descrivere. E allora il sole se lo prendono tutto, da quando sorge a quando tramonta. Poi, a sera, dopo qualche ora, quando il calore si dissolve nell’aria pulita, già rinfresca e bisogna coprirsi. Il viaggiatore, ritemprato, apre gli occhi, nel cielo terso le stelle sono tante, molto più numerose che da noi e quelle già note appaiono più grandi, più luminose. È una meraviglia! Piccole cose, ma forse è anche per queste piccole cose che l’anno dopo, e l’anno dopo ancora, pur sapendo che caldo e fatica faranno soffrire, si ritorna in Dancalia. Son quasi quarant’anni che non vedo la Dancalia. Mi ci ha riportato, con i suoi due bei volumi, Luca Lupi. Grazie Luca.
Presentazioni ufficiali di Storici e Geografi:
Marco Lenci
(docente di Storia dell’Africa, Facoltà di Lettere, Università di Pisa)
La Dancalia, nota anche come il “Triangolo degli Afar” dal nome della popolazione che la abita, costituisce una delle regioni più estreme dell’intero pianeta. Bagnata dal Mar Rosso, tale porzione del Corno d’Africa (oggi compresa politicamente entro i confini di tre diversi Stati: l’Etiopia, la Repubblica di Gibuti e l’Eritrea) si presenta come la propaggine più settentrionale della grande spaccatura tettonica (nota con il termine inglese di Great Rift Valley) che si staglia, come un’immensa ferita non cicatrizzata, attraverso l’intera fascia longitudinale del continente africano per una lunghezza di oltre ottomila chilometri. A rendere molto estreme le condizioni ambientali della Dancalia contribuisce in maniera determinante il fatto che essa, per buona parte, si presenti come una depressione profondissima che, nella sua parte più desolata ed inospitale, conosciuta come il Piano del Sale, s’inabissa a circa 120 metri sotto il livello del mare. Si tratta di un immenso tavolato salino, estendentesi per non meno di seicento chilometri quadrati, costituitosi allorché un sollevamento tettonico, prodottosi milioni di anni fa, ne interruppe ogni comunicazione con il mare che prima la colmava interamente. Un’altra caratteristica peculiare della regione dancala è data dall’alta concentrazione di vulcani attivi ivi presente tale da rendere quel territorio sottoposto ad una perenne attività eruttiva. E’ come se in quel lembo di Africa l’attività di modellamento geologico del pianeta continuasse la sua opera come all’inizio dei tempi geologici: di mese in mese l’aspetto morfologico del paesaggio muta rivelando un’instabilità di contorni ben difficilmente riscontrabile altrove. Fatta eccezione per una modesta porzione (quella più prossima al fertile altopiano etiopico), dove un clima più mite ed un più favorevole regime delle piogge riescono a sostenere una qualche forma di vegetazione da cui trae spunto una modesta ma significativa attività agricola, in tutto il resto della Dancalia predomina invece un panorama lunare: aspro, roccioso, impervio. Non v’è alcun riparo alla luce accecante del sole e si registrano punte di calore allucinanti. In tale contesto è facile comprendere come la vita per le popolazioni indigene che vi sono insediate (per l’appunto le genti Afar) non sia mai stata mai facile. Sempre costrette ai limiti della sopravvivenza, in un panorama ecologico tanto inospitale, tali popolazioni hanno trovato essenzialmente due modi per sopravvivere: il commercio del sale (tuttora praticato) e la depredazione delle carovane di passaggio, pratica, quest’ultima, oramai abbandonata. Lo sfruttamento dei grandi giacimenti di sale a cielo aperto inizia con il taglio del minerale ed il suo confezionamento in lastroni chiamati ganfùr a cui segue il trasporto verso le zone circonvicine ove viene acquistato come una merce di una preziosità vitale. La depredazione era condotta contro ogni carovana che si trovasse a passare in quella che pure costituiva la via di collegamento più rapido tra l’entroterra etiopico ed il mare. Quest’attitudine controbilanciava in minima misura le grandi razzie perpetrate ai danni delle genti dancale dalle popolazioni abissine e Oromo dell’altopiano. Nel corso dei secoli, la funesta fama di essere dei crudeli cacciatori di uomini è così divenuta, ingiustamente, il marchio distintivo delle popolazioni della Dancalia; una fama dapprima limitata al Corno d’Africa, ma poi diffusasi anche in Europa come conseguenza inevitabile della lunga scia di sangue che le diverse spedizioni occidentali hanno dovuto pagare come tributo ai loro tentativi di penetrazione e di conoscenza della regione. Proprio alla pagina delle esplorazioni di quel lembo desolato di terra africana è dedicato questo volume che Luca Lupi ha curato con grande passione ed encomiabile dedizione. Singolare l’approccio che ha condotto l’autore a cimentarsi in questa prova. Da anni organizzatore di viaggi dell’estremo (molti dei quali compiuti in varie zone dell’Africa), in tale veste egli ha avuto modo di percorrere più volte la Dancalia. Viaggio dopo viaggio è venuto così crescendo in lui un vero e proprio amore per quella terra difficile, aspra ed ingrata, ma al tempo stesso misteriosa e fascinosa. Luca Lupi – quasi cercando nelle esperienze vissute da altri passati viaggiatori che per la Dancalia si avventurarono un’anticipazione ed una conferma delle sue presenti emozioni – ha preso in particolare ad interessarsi di tutti quegli esploratori (o anche semplici viaggiatori) che, a partire dalla prima metà del XIX secolo, talvolta al prezzo della loro stessa vita, l’avevano attraversata. Mosso da tale stimolo il Lupi ha poi condotto un intenso lavorio di ricerca grazie al quale ha potuto familiarizzarsi con la produzione scientifica e pubblicistica relativa ai tempi, ai modi ed alle finalità di quanti nel passato hanno tentato di carpire i segreti della Dancalia e delle sue genti per renderli poi noti al pubblico occidentale sempre assetato di conoscenze esotiche. Non v’è in pratica libro, opuscolo ed articolo (si veda al riguardo la lunga appendice bibliografica che chiude il volume) che, con una serrata opera di scavo, non sia stato da lui scovato, letto e valutato. In tal modo alla fine della sua lunga e meritoria attività di ricerca, che ha comportato anche molti sondaggi archivistici, l’autore, dopo molti anni, si è trovato tra le mani un patrimonio di conoscenze davvero prezioso. Il passo successivo, dopo un ulteriore faticoso lavoro di sistemazione del materiale accumulato, è stato quello di predisporre e di dare alle stampe il presente volume in cui si passa in rassegna, più o meno minutamente, l’insieme delle campagne di esplorazione condotte in Dancalia dal 1800 ai giorni nostri. Dalle prime timide esplorazioni inglesi e tedesche dei primi dell’ottocento segue poi in successione la schedatura di decine e decine di spedizioni o anche di semplici passaggi attraverso la Dancalia in cui si dà conto dei loro protagonisti e delle conoscenze da loro acquisite. Alcuni dei personaggi presentati sono invero già ben noti anche al grande pubblico del nostro paese; da tempo essi sono stati, infatti, immortalati nell’epopea eroica del contributo italiano la “scoperta” dell’Africa che, per quella particolare porzione del continente in cui la Dancalia è inserita, fu in buona parte “un’avventura italiana” come recita il sottotitolo del libro. Si ripercorrono così le circostanze che condussero al sacrificio di Giuseppe Giulietti, ucciso nel 1881, ed a quello di Gustavo Bianchi, massacrato nel 1884 con i suoi compagni Gherardo Monari e Cesare Diana; analogamente si ricostruiscono le vicende di viaggio di tanti altri, che pur senza perdere la vita, ebbero però a soffrire pene talvolta indicibili nell’assolato orizzonte dancalo. Con il passare dei decenni le condizioni di penetrazione in Dancalia si sono fatte certamente più agevoli. Fu questo il caso delle imprese compiute dalle missioni organizzate, spesso con ampia dovizia di mezzi e di finanziamenti, dopo la prima guerra mondiale tra le quali particolarmente rilevanti furono, tra il 1928 ed il 1929, quella condotta dall’anglo-italiano Ludovico Nesbitt e l’altra capeggiata dal barone Raimondo Franchetti. Dopo una lunga interruzione che caratterizzò i primi decenni successivi alla fine della seconda guerra, si è avuto infine un rinnovato interesse per l’esplorazione scientifica della Dancalia a partire dagli anni Sessanta del secolo appena trascorso. In virtù di una strumentazione sempre più sofisticata (ma anche grazie alla fattiva collaborazione fornita dalle autorità governative etiopiche) una serie di campagne esplorative, che ebbero per protagonisti scienziati, italiani, francesi e tedeschi sono così giunte ad una pressoché completa mappatura del terreno e delle sue più significative caratteristiche geologiche. Nell’esposizione approntata dal Lupi, la lunga carrellata si chiude – né poteva essere diversamente – con la minuta descrizione della spedizione vulcanologica che, nel dicembre 1997, vide la sua personale partecipazione. Il volume è corredato da un apparato fotografico e cartografico di dimensioni imponenti che, di per sé stesso, costituisce un’autentica preziosità. Non manca, ovviamente, un adeguato inquadramento dell’evoluzione storica della regione così come accurata appare la presentazione della realtà antropologica delle popolazioni indigene.
Francesco Surdich
(docente di Storia dell’esplorazioni e scoperte geografiche, Istituto di Storia del Medioevo e dell’Espansione Europea, Università di Genova)
Nonostante che la sua parte settentrionale si affacci sul Mediterraneo e sia stata da sempre in rapporto diretto coi territori e le popolazioni meridionali dell’Europa, larga parte del continente africano continuò a rappresentare fino agli inizi dell’Ottocento, sia nella tradizione scientifica e culturale che nell’immaginario collettivo, una terra incognita, come era stata definita e rappresentata per secoli e, nonostante l’infittirsi ed il succedersi sempre più frenetico delle spedizioni di esplorazione di carattere geografico e commerciale, la diffusione dell’attività di evangelizzazione sia da parte cattolica che da parte protestante, le sempre più consistenti iniziative di conquista e colonizzazione, alcune zone sarebbero rimaste ugualmente sconosciute e ancora di più sarebbero rimaste estranee alla mentalità ed alla sensibilità europea le caratteristiche storiche e culturali degli abitanti di quei territori, fisse ed immobili nella negazione della loro identità sistematicamente negata e banalizzata da valutazioni e giudizi (o meglio pre-giudizi) di forte impronta etnocentrica. Tra queste aree, rimaste largamente estranee alla conoscenza ed alla percezione europea fino a tempi relativamente recenti, si può collocare la Dancalia, nota anche come il “triangolo degli Afar”, presentata e descritta con una certa ampiezza e precisione da due spedizioni promosse e realizzate pressoché contemporaneamente solo fra il 1928 ed il 1929 da parte, rispettivamente, dell’ingegnere Ludovico Nesbitt e dal barone Raimondo Franchetti, prima che si riuscisse a pervenire, negli anni Sessanta del secolo scorso, grazie anche all’appoggio ed al sostegno delle autorità governative etiopiche, ad una rilevazione completa del territorio dancalo e delle sue caratteristiche grazie ad un complesso di spedizioni esplorative condotte da studiosi italiani, francesi e tedeschi con l’ausilio di una strumentazione scientifica estremamente sofisticata. Questo fatto non può naturalmente stupire se si tiene conto delle caratteristiche ambientali e geografiche della Dancalia, costituita in larga parte da una depressione assai profonda e caratterizzata da un’alta concentrazione di vulcani attivi, che non potevano non scoraggiare anche gli esploratori più decisi ed intraprendenti, messi in allarme pure dalle notizie altrettanto allarmanti che erano sempre circolate sulle tribù che la popolavano, presentate e descritte sempre come estremamente pericolose ed aggressive. A tutto ciò si deve aggiungere la scarsa attrazione che un’area di questo genere, dall’aspetto aspro e desolato, molto vicino a quello del paesaggio lunare, e con punte di calore assai elevate, poteva suscitare presso gli ambienti politici ed economici europei che, fra l’Otto ed il Novecento, hanno promosso ed orientato gli obiettivi e le direttrici delle iniziative di studio e di esplorazione, che generalmente precedevano e poi accompagnavano i progetti di conquista e messa a profitto dei territori africani. Sollecitato a questo riguardo già dai tempi dei suoi studi universitari dal magistero di Giorgio Marinelli, che lo avrebbe portato, nel novembre del 1997, ad inoltrarsi, assieme ad alcuni vulcanologi, nel territorio degli Afar, di tutto ciò si è occupato per circa un decennio Luca Lupi cercando di reperire il maggior numero possibile di fonti documentarie ed archivistiche, sia pubbliche che private, sull’argomento e di mettere a profitto la vastissima letteratura disponibile, come testimonia l’ampio indice bibliografico (ma anche quello dei documenti e delle referenze fotografiche) della sua ricerca, che potrà rappresentare un utile strumento per tutti coloro che volessero riprendere ed approfondire le più svariate problematiche relative alla storia dell’espansione coloniale italiana e dei suoi numerosi protagonisti di diversa natura ed importanza. Per le sue dimensioni l’impresa che, con apprezzabile tenacia e con immensa passione che traspaiono da ogni pagina del suo lavoro, l’amico è riuscito a condurre a termine, offrendoci un prodotto che si può collocare tra il saggio storico-geografico ed il repertorio enciclopedico, per la fatica che gli è sicuramente costata e per gli ostacoli di ogni genere che ha dovuto affrontare e superare (non ultimo la ricerca di un editore che, in tempi come gli attuali poco sensibili alle iniziative scientifiche e culturali, rappresenta sempre un problema di non facile soluzione, soprattutto per chi, come Lupi, non fa parte di corporazioni scientifiche e/o accademiche e non è pertanto in grado di disporre di adeguati finanziamenti) credo si possa paragonare addirittura alle miriadi delle spedizioni che sono state oggetto del suo studio e della sua attenzione. La sua ricerca, articolata in tre parti dedicate rispettivamente agli aspetti geologici, geografici ed antropologici della Dancalia, alla storia ed all’organizzazione sociale degli Afar ed alla rigorosa ricostruzione delle spedizioni europee che, partendo dalla costa del Mar Rosso e dell’altopiano etiopico, operarono in questo territorio (in particolare nella Dancalia settentrionale ed in quella centrale, corrispondenti alla depressione desertica situata al confine tra Eritrea ed Etiopia), si è sviluppata infatti come un faticoso viaggio di esplorazione, ricco di problemi e di insidie di ogni genere, sia tra la vastissima serie di resoconti e testimonianze trasmesse da quanti a diverso titolo, nell’arco di più di un secolo, si avventurarono nella Dancalia; sia tra l’altrettanto sterminata letteratura sull’argomento: un viaggio che, come tutte le iniziative di esplorazione, ha permesso al suo protagonista di cogliere e mettere in evidenza problemi ed aspetti in tanti casi ancora del tutto ignoti della vera e propria epopea sulla quale ha concentrato la sua attenzione; nonché di chiarire, correggere e precisare particolari e dettagli di ogni genere, per arrivare ad un quadro di ampio respiro, che rappresenta, per la sua completezza ed esaustività, un contributo del tutto inedito ed originale, reso ancora più apprezzabile e comprensibile anche grazie all’ampio ricorso a citazioni di passi estratti dai resoconti dei viaggiatori in grado di restituire l’atmosfera nella quale costoro si trovarono ad operare, a note ed inserti di carattere storico ed al ricchissimo apparato cartografico ed iconografico che lo completa e lo arricchisce. Volendo, prima di esaurire queste brevi osservazioni, muovere un rilievo, personalmente avrei evitato di insistere eccessivamente, a cominciare dal titolo, sul concetto della rivendicazione del “primato” italiano, che scientificamente non ha nessun significato ed in ogni caso appare una chiave di lettura molto datata dal punto di vista culturale e scientifico, richiamando polemiche di natura politica ed ideologica che la ricerca storica ha invece l’obbligo ed il dovere di superare.
Claudio Cerreti
Società Geografica Italiana (docente di Geografia politica ed economica, Facoltà di Sociologia, Università di La Sapienza di Roma)
Quasi duemila pagine in cui si susseguono fittissime le informazioni più varie sui tentativi europei, e italiani in particolare, di attraversare e «conoscere» la Dancalia: i due volumi di Luca Lupi restituiscono un quadro composito, articolato, complesso e anche contraddittorio dell’insieme di quei tentativi. Un quadro che peraltro corrisponde molto bene all’idea che, della vicenda della progressiva conoscenza della Dancalia, si può fare chi conosce un poco la storia delle esplorazioni in Africa. Ma un quadro, anche, che diventa paradigmatico dell’intera storia dell’esplorazione del continente africano o quanto meno delle sue aree più «difficili», più refrattarie alla presenza degli occidentali. Certamente, in questo lavoro si trova riferimento a quasi tutti i personaggi e a quasi tutte le vicende che hanno interessato l’esplorazione e poi l’appropriazione coloniale del Corno d’Africa nel suo insieme; esplorazione e appropriazione che furono prevalentemente, benché non solo, di matrice italiana. Di conseguenza, la lettura o la consultazione dell’opera di Lupi finisce per fornire un’idea piuttosto precisa del ruolo e del coinvolgimento italiani nella conoscenza scientifica e poi nella spartizione politica del continente. La precoce «specializzazione» italiana nelle regioni del Corno, in gran parte veicolata quando non sostenuta dall’azione della Società Geografica Italiana, portò quasi tutti i viaggiatori provenienti dal nostro paese ad avere un qualche contatto con l’area dancala, sia pure solo per attraversarla in direzione dell’altopiano etiopico o dell’Hararino e anche, più oltre, dell’Ogaden. Assab, del resto, punto di partenza della presenza coloniale italiana, ha come suo retroterra la Dancalia – e, alla storia dell’«acquisto» e poi della «valorizzazione» dello scalo di Assab, Lupi dedica comprensibilmente molte pagine. Se si prescinde dalla storia precedente – che pure Lupi racconta e che rivela non poche vicende di grande interesse per la conoscenza in Europa dell’area dancala – per quanto riguardò la progressiva penetrazione, dal primo Ottocento in poi, degli europei in Africa orientale, quasi ogni iniziativa prese avvio sulla costa del Mar Rosso o del Golfo di Aden. Per quanto riguarda gli italiani, come ben sappiamo rispetto alle prime spedizioni «ufficiali», quelle della Società Geografica Italiana e delle sue successive concorrenti, era quasi inevitabile che si transitasse per Assab o per Zeila, e quindi per la Dancalia. Risulta perciò conseguente che un’ampia quota delle informazioni messe a disposizione del lettore, moltissime delle fonti utilizzate, la quasi totalità dei personaggi presi in considerazione abbiano a che fare in parte minore con l’area dancala in quanto tale, e molto più, invece, o con la Colonia Eritrea o con l’entroterra etiopico: basti il solo esempio di Carlo Piaggia, che non mise quasi piede in Dancalia, ma che certo ebbe a che vedere con vicende che alla conoscenza della Dancalia erano invece strettamente legate, e che perciò ragionevolmente viene ricordato nel testo di Lupi con una certa larghezza; qualcosa di simile si verifica per moltissimi dei «nomi» che hanno segnato la vicenda italiana in Africa orientale, fino e ben oltre la seconda guerra mondiale. La conoscenza sistematica della Dancalia in quanto tale è in effetti legata a pochissime vicende, tutte molto tardive – ma questo non toglie per nulla interesse alla ricostruzione effettuata in quest’opera, che ricuce tra di loro gli innumerevoli minuti frammenti che con l’area dancala hanno avuto attinenza. Può sembrare paradossale aggiungere che la parte forse meno agevole, perché meno documentabile, di questa ricostruzione storica è quella relativa agli ultimi decenni: quando i «canali» attraverso i quali si sviluppano le iniziative di viaggio in Dancalia (come ovunque altrove) si frammentano, si individualizzano. Se è relativamente agevole ricostruire l’insieme delle iniziative prese da organi ufficiali, se è possibile risalire ai lavori compiuti in nome della scienza e documentati da pubblicazioni o materiali d’archivio, molto più complesso e aleatorio risulta ripercorrere le iniziative perfettamente private di singoli o piccoli gruppi di viaggiatori, come spesso è impossibile distinguere fra chi pratica una qualche forma di turismo «intelligente» e magari «estremo» e chi mette in atto un viaggio dagli intendimenti e dai risvolti scientifici. Si tratta insomma di un lavoro evidentemente ciclopico, in cui l’autore ha voluto e saputo convogliare e mettere a frutto una quantità sterminata di dati e informazioni, dopo averne accumulati per anni, dando seguito a un interesse personale che accompagna la diretta esperienza avuta dei luoghi. Accanto alle notizie, più o meno «tradizionali», che ci ha consegnato la bibliografia sui viaggi in Africa, Lupi ha voluto precisare le condizioni geografiche (e ovviamente quelle geologiche in particolare) della regione, la natura e la storia delle popolazioni che l’abitano, le principali vicende politico-istituzionali che l’hanno interessata nel corso del tempo. Più che un lavoro sull’esplorazione della Dancalia, quindi, un lavoro ricchissimo di dati (e di splendide e significative immagini) sull’essenza, per così dire, della regione dancala.
Manlio Bonati
(biografo ufficiale di Vittorio Bottego)
Sono trascorsi ormai alcuni anni. Ero a casa e stavo aspettando uno studioso toscano di storia delle esplorazioni. Puntuale, suona il campanello. Lo attendo fuori dall’uscita dell’ascensore. Avevamo parlato tante volte al telefono e scritto un mare di email. Ci stavamo, finalmente, incontrando: gli necessitava della documentazione iconografica per una sua opera sulla Dancalia. Gli avevo messo a disposizione la mia Biblioteca. L’ascensore arriva a destinazione, le porte si aprono e… mi trovo davanti Giovanni Battista Belzoni, o meglio la sua reincarnazione! Sì, era un omone, un gigante, tutto l’opposto del classico topo da biblioteca. Per fortuna, al contrario dell’egittologo Belzoni rappresentato sempre molto serio, un sorriso dolce e bonario incorniciava quel pezzo d’uomo. Era accompagnato dalla sua futura moglie, una bella donna dai riccioli dancali. L’amicizia, nata con mezzi tecnologici, si saldò immediatamente e dura tuttora. Il sito culturale www.ilcornodafrica.it ci mise in contatto, e la grande passione per gli esploratori delle nostre ex Colonie. Mi piacque la sua intenzione di pubblicare un libro (in seguito i tomi divennero due) che trattasse della Dancalia in senso lato, con riferimenti al periodo coloniale italiano. Le idee di Luca Lupi erano tante, tantissime. Ogni mese ampliava, dipanava l’argomento, sempre alla ricerca di qualcosa di più, edito e inedito. Intanto, la data di pubblicazione andava sempre più avanti. La ricerca a macchia d’olio faceva temere che il frutto di tanti studi non raggiungesse mai il dunque. Si parlava spesso con amici comuni (Giorgio Barani ed Alberto Vascon) di quest’opera senza fine in continua trasformazione. L’Autore, poi, non era mai soddisfatto. Metteva le pulci ad ogni notizia e cercava sempre l’illustrazione migliore. Non era, forse, il gigante Lupi un po’ troppo esagerato? No, non lo era! Il suo sogno è diventato realtà con il primo tomo, di grandezza proporzionale alla mole dell’Autore, di un bello unico, un piacere per il bibliofilo più esigente. Le immagini, sia recenti che d’epoca, sono selezionate, precise, si amalgamano perfettamente al testo. Questo è d’importanza basilare, scorrevole, ricco di dati e con un’ineccepibile bibliografia. Unico problema tecnico: dove metterlo in libreria? E’ un tomo enorme, poi ci sarà il secondo (scommetto ancora più largo) con il relativo cofanetto… Sono stato costretto a spostare (dallo studio al corridoio) dei libri d’epoca, delle chicche, per far posto al gigante cartaceo. Sborda un po’, ma sta d’incanto vicino al Giglioli, al Bizzoni, al Boggiani, al Baccari, ecc. Non posso leggerlo a letto, come d’abitudine, altrimenti mi schiaccia: devo stare seduto comodamente alla scrivania. Lo inizio all’araba, da destra a sinistra: il mio Bottego si trova nelle pagine finali (mentre nel prossimo in quelle iniziali), poi passo ad Antinori e a tutti gli altri esploratori del firmamento italiano. Bravo, Luca. Hai fatto un incredibile lavoro!
Giancarlo Stella
Biblioteca-Archivio “Africana” di Fusignano http://digilander.libero.it/africana/
DUE PAROLE SUL LIBRO “DANCALIA” E SULL’AUTORE
Per noi africanisti della generazione nata nel dopoguerra, il nome Dancalia ha sempre evocato un luogo misterioso ed affascinante, percorso da pochi, lontano dalla grandi vie e dai grandi avvenimenti che hanno invece caratterizzato e sviluppato politiche e passioni. E più ci addentravamo nelle pieghe storico-geografiche di questo caldissimo lembo d’Africa, portati per mano da quei pochi avventurosi che avevano potuto calcare quella terra, più nasceva in noi il rispetto per questo luogo dove leggende e realtà, dai lineamenti non definiti, si fondevano in una unica scena. La Dancalia è sempre stata legata al nostro Paese per le vicissitudini, anche gravissime, che hanno accompagnato i primi passi dell’Italia nel Continente nero; spesso l’avventurarsi in quel territorio – che scoprimmo chiamarsi anche Afar -, per soddisfare disegni geografici e politici, dovette comunque fare i conti con quella popolazione e con capi locali che abbiamo imparato a conoscere attraverso le letture di libri e l’esame dei documenti d’archivio: personaggi che sembravano ritagliati dai volumi del miglior Salgari. Una terra che sembrava ostile ed ostica anche in assenza di quelle genti, per via del clima micidiale per i fragili “bianchi” che dovevano ricorrere a mezzi ed espedienti per non lasciare le loro ossa in quella depressione. Addirittura per molto tempo non si riuscì a misurarne la temperatura con gli strumenti classici. Queste le nostre prime letture su quel territorio, poi definite meglio con le testimonianze di chi ha voluto percorrerlo e squarciare così quei veli di mistero che non era possibile potessero mantenersi ancora nel XX secolo. I volumi di Issel, Vinassa de Regny, Nesbitt e Franchetti, per citare alcuni tra i più noti, hanno effettivamente portato un contributo notevole alla conoscenza della Dancalia, con arricchimenti di dati scientifici per la prima volta fatti conoscere. Ricordo anche di aver reperito decenni fa una vecchia bozza di un volume del 1886 e corretta dall’Autore che trattava addirittura della lingua afar, di certo Giovanni Colizza, inviato appositamente a Vienna l’anno precedente dal Ministro della Pubblica Istruzione a studiare l’afar e le “lingue hamitiche” presso il Prof. Leo Reinisch. Ed in effetti era quella, per noi, all’epoca, ritenuta una porzione d’Africa strategica, luogo di passaggio obbligato per chi doveva salire o scendere dal regno dello Scioa, dove l’Italia post-risorgimentale stava intrecciando il suo destino con quello di Menelik ed anche luogo del primo insediamento di Assab, seguito successivamente – nel 1885 – dalla occupazione di Massaua. Tra questi due luoghi, Massaua-Assab, nasceva appunto la “nostra Dancalia”, luogo dove erano state rivolte le prime attenzioni militari in causa del disinteresse turco seguìto agli eccidi di italiani. E ci sovviene pure nella memoria il poeta francese Arthur Rimbaud, costretto a percorrere una parte della Dancalia – da lui definita “un pezzo di luna sulla terra” – e divorare la distanza che lo separava dalla Francia per curare quella ferita che lo porterà alla tomba. Questi i primi ricordi che mi assalgono alla parola Dancalia. Ora l’amico Luca Lupi regala a noi, ma soprattutto alla storia ed alla conoscenza, un’opera esaustiva che finalmente colma quel vuoto storico-geografico-scientifico che sino ad oggi esisteva. Luca conosce la Dancalia; ammalato dal “fattore Ulisse”, aveva partecipato nel 1997 alla spedizione per lo studio del vulcano Erta Ale. Esperienza che non si era però conclusa al rientro in Italia; anzi, contagiato dal “Mal d’Africa” di cui noi tutti siamo stati colpiti, ha proseguito nella ricerca a tutto campo su quel triangolo Afar, impegnando anni a raccogliere, studiare e comparare una notevole mole di notizie contenute in relazioni, volumi, documenti, atti, ecc. sulla Dancalia e sui personaggi che in qualche modo hanno avuto a che fare con lei. Questa annosa ricerca vede oggi la luce, ed è una vera miniera di notizie e dati, una sorta di enciclopedia sulla Dancalia, unica nel suo genere. E’ sufficiente scorrere il titolo per avere idea del contenuto; il volume – primo su due -, rientra a pieno diritto in quelle opere ritenute “indispensabili” e ciò rende onore a lui e a chi ha voluto sobbarcarsi la gravosa spesa di stampa.