Dancalia nella giornata di Studi “Il Risorgimento e la Geologia Italiana”

La Giornata di Studisi è svolta il 25 novembre scorso a Firenze nella prestigiosa sede di Palazzo vecchio. Questa iniziativa a carattere nazionale rientrava tra gli eventi per i 150 anni dell’Unità d’Italia e tra le attività e i progetti che rispondono allo spirito e agli obiettivi promossi dal Piano Italia 2011 dell’Organismo Nazionale di Coordinamento del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, in coerenza con le linee di indirizzo europee. La Giornata di Studio si poneva l’obiettivo di ricordare le figure dei Geologi e degli studiosi delle Scienze della Terra che hanno contribuito attivamente al Risorgimento e all’Unità d’Italia, nonché alla fondazione, negli anni di Firenze Capitale, delle principali Istituzioni geologiche nazionali, gran parte delle quali tuttora esistenti.

 

Durante la giornata è stata ripercorsa l’evoluzione della Geologia italiana nei settori delle Georisorse, delle Esplorazioni, dell’Ambiente e della Sicurezza del Cittadino, dall’Unità d’Italia ad oggi. All’interno della programmazione prevista è intervenuto anche il prof. Ernesto Abbate del Dipartimento di Geologia dell’Università di Firenze, che lavora nella Dancalia eritrea fin dal 1985, illustrando alcune esplorazioni dei geologi italiani in Africa ed Asia. Durante il suo intervento è stato evidenziato il grande contributo dato dai  geologi italiani nelle esplorazioni dell’area Afar (Dancalia) ed sono stati anche presentati al pubblico i volumi “Dancalia. L’esplorazione del’Afar, un’avventura italiana” di Luca Lupi.

 

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Carta escursionistica-geologica e plastico della Dancalia in preparazione

Dalla collaborazione di Luca Lupi e della impresa LAC (Litografia Artistica Cartografica) di Firenze nascerà la prima carta escursionistica-geologica dell’Afar (Dancalia) con particolare attenzione alla sua porzione settentrionale. Partendo da questa questa carta sarà poi anche realizzato per la prima volta un plastico della stessa porzione della carta.

Attualmente Lupi e i cartografi della LAC, coordinati dal geologo Marco Barbieri, stanno lavorando DTM e al posizionamento dei vari dati geografici e della toponomastica internazionale e locale. Successivamente sarà posizionata la parte geologica ed il resto degli apparati.

L’idea e l’obiettivo sono quelli di riuscire ad avere pronte carta e plastico e presentarli al congresso internazionale di geologia del 11-13 gennaio 2012 di Addis Abeba.

Lupi con l’architetto Gianni Meucci cartografo della LAC.

La geologa Valentina Gabicorti con l’architetto Gianni Meucci cartografo della LAC.

http://vimeo.com/32574260

Vedi aggiornamento sulla preparazione carta e plastico nella pagina dedicata.

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Riunione preparatoria per la spedizione di gennaio 2012

Sabato 8 ottobre 2011 ore 18,00, aula prof Rosi, Dipartimento di Scienze della Terra di pisa, Via Santa Maria 53, riunione preparatoria dei componenti la spedizione in Dancalia di Gennaio 2012.

In questo incontro preliminare con i partecipanti sono stati presentati tutti i componenti della spedizione e i compiti specifici di alcuni di loro (foto, riprese, medico, cartografo, etc..) e illustrati in dettaglio tutti gli aspetti inerenti alla situazione

- geologica, climatica, politica dell’area

- necessità dello spirito di gruppo

- preparazione fisica e psicologica

- rapporti con autisti e locali

- ruolo del capospedizione

- distribuzione dei posti auto

- abbigliamento e attrezzatura

- logistica

- spiegazione date di partenza

- programma definitivo

- Domande e risposte

Presenti alla Riunione 12 partecipanti:

Luca Lupi, Michele Squeri, Giovan Battista Mergoni, Ranieri Turchi, Morachioli Massimo, Jessica Chicco, Valentina Gambicorti, Marta Lazzaroni, Agnese Fazio, Daniele Vergani, Giulia Bravi, Silvia Fregoli

Assenti 5 partecipanti:

Enrico Bonatti, Gelasio Gaetani, Marco Stoppato, Alessandro Puccinelli, Raffaele De Sarno Prignano

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Geologists map birth of new ocean in Afar in east Africa’s Great Rift Valley

A GIANT underground reservoir of molten rock has been discovered under the deserts of Ethiopia by British geologists.

They targeted the Afar region in the Horn of Africa after a recent surge in volcanic activity and earthquakes plus the appearance of giant cracks in the rocky surface. Tectonic plates in the area are pulling apart and gradually creating a new ocean, The (London) Sunday Times said.Now, the scientists have mapped the colossal underground lake of magma that lies up to 32km below the earth’s surface.

“We estimate that there is 3000 cubic kilometres of molten rock under Afar – enough to cover all of London … with around a kilometre of rock,” said Kathy Whaler, professor of geophysics at Edinburgh University.

The reservoir is under such pressure that it has forced tongues of molten rock up towards the surface, producing eruptions and earthquakes.

In 2005, a 7.6m wide tongue of lava spread 64km under Afar in 10 days and solidified, and many more followed.

Afar lies in east Africa’s Great Rift Valley at a point where three tectonic plates are pulling apart from each other. Such movement creates gaps, or rifts, in the Earth’s crust, which allows molten rock to well up from deep below.

There are thousands of kilometres of these rifts around the world but almost all lie deep below the ocean. East Africa and Iceland are the only places where they emerge on to land.

Much of Afar is already below sea level but is protected from flooding by a barrier of low hills in Eritrea. Geologists believe the protective barrier will be overcome in about one million years, allowing the Red Sea to inundate the whole area.

Professor Whaler, who presented her preliminary results to the UK’s Royal Society last week, said, “Over geological time parts of southern Ethiopia and Somalia will split off and form a new island that moves out into the Indian Ocean.”

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Magmatic Rifting & Active Volcanism Conference (Addis Ababa January 2012)

 http://www.see.leeds.ac.uk/afar/new-afar/conference/conference.html

Addis Ababa, Ethiopia 11th-13th January 2012

The 2010 Eyafjallajökull eruption demonstrated that active volcanism on magmatic rifts can have a considerable impact on society, even well beyond its immediate location. In the past decade, new findings from active magmatic rifts on the continents, rifted margins and mid-ocean ridges have shown the importance of magmatism in governing the style of continental rifting and seafloor spreading. The meeting is being held to mark the end of the 5-year Afar Rift Consortium project and will bring together people investigating the causes and impact of magmatic rifting and active volcanism in a variety of tectonic settings to share their latest findings. The meeting will be wide in scope, and we encourage contributions that encompass processes occurring from the deep mantle to the surface.

We hope to open registration in early August. Please keep checking this page for updates.

The conference will cover the following themes:

  • Active Magmatic Rifting
  • Mid-Ocean Ridge Processes
  • Rifted Continental Margins
  • Mantle-Lithosphere Interactions and the Causes of Breakup
  • The East African Rift
  • Natural Hazards
  • Rifting and Climate
  • Resources from Magmatic Rifts (Geothermal, Petroleum, etc.)

There will be a variety of field trips before and after the conference including:

  • Introduction to the East African Rift (3 days)
  • Afar, including the Erta Ale lava lake (9 days)
  • Transect through a continental margin, including historic sites of Axum, Gondar and Lalibela, (7 days)

International scientific committee:

  • Bekele Abebe, Addis Ababa University, Ethiopia
  • Asfawossen Asrat, Addis Ababa University, Ethiopia
  • Atalay Ayele, Institute of Geophysics, Space Science & Astronomy, Ethiopia
  • Roger Buck, Lamont Doherty Earth Observatory, USA
  • Eric Calais, University of Purdue, USA
  • Joe Cann, University of Leeds, UK
  • Andy Cohen, University of Arizona, USA
  • Cecile Doubre, University of Strasbourg, France
  • Cynthia Ebinger, University of Rochester, USA
  • Shimeles Fisseha, Institute of Geophysics, Space Science & Astronomy, Ethiopia
  • Mohamed Jalludin, Centre d’Etude et de Recherche de Djibouti
  • Mike Kendall, University of Bristol, UK
  • Elias Lewi, Institute of Geophysics, Space Science & Astronomy, Ethiopia
  • Stuart Marsh, British Geological Survey, UK
  • Gianreto Manatschal, EOST, Strasbourg, France
  • Nicolas d’Oreye, National Museum of National History, Luxembourg
  • Raphael Pik, University of Nancy, France
  • Peter Purcell, P&R Geological Consultants Pty Ltd, Australia
  • David Pyle, University of Oxford, UK
  • Julie Rowland, University of Auckland, New Zealand
  • Freysteinn Sigmundsson, University of Iceland
  • Belete Tirfie, Ethiopian Mapping Authority, Ethiopia
  • Mohammed Umer, University of Addis Ababa
  • Jacques Varet, BRGM, France
  • Charlotte Vye, British Geological Survey, UK
  • Getnet Wassie, Geological Survey of Ethiopia
  • Girma Woldetinsae, Ministry of Mines and Energy, Ethiopia
  • Kathy Whaler, University of Edinburgh, UK
  • Tim Wright, University of Leeds, UK (chair)
  • Gezahegn Yirgu, Addis Ababa University, Ethiopia

We are awaiting confirmation from other committee members that will add strength in the area of geothermal and petroleum resources in magmatic rifts. For further information and to be added to the conference mailing list please fill in the form below or email: addis2012@see.leeds.ac.uk

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Scoperto a Buia (Dancalia eritrea) un nuovo cranio umano

Fotografia di Tsegai Medhin

Scoperti in Dancalia da parte di un gruppo di ricercatori italo-eritrei nuovi resti di Homo databili ad un milione di anni
fa. Nello stesso sito fu scoperta nel 1995 la “Signora di Buya

Da National Geographic Italia 07 gennaio 2011 http://www.nationalgeographic.it/scienza/2011/01/07/foto/cranio_buya_nuovo-163359/1/

Resti fossili di un Homo erectus/ergaster, databile a circa un milione di anni fa, sono stati scoperti a metà dicembre nel bacino sedimentario di Buya, in Eritrea, dal team italo-eritreo del “Progetto internazionale Buya”. Nell’immagine, l’osso frontale, fotografato pochi istanti dopo il ritrovamento. Secondo i ricercatori, questa scoperta permette di gettare nuova luce su un periodo chiave, ma anche tra i più oscuri, della storia evolutiva del genere Homo. Proprio allora infatti si sviluppano le direttrici che porteranno, circa 400 mila anni più tardi, alla comparsa dei nostri diretti antenati e, in seguito, all’affermazione della specie Homo sapiens in questa stessa area dell’Africa orientale. La scoperta è particolarmente significativa perché, per lo stesso periodo, i reperti fossili a disposizione in Africa sono scarsissimi e, tranne quelli di Buya e il cranio di Daka, in Etiopia, anche piuttosto frammentari.

Fotografia di Lucio Bergamo

Trovare un fossile umano non è certo cosa di tutti i giorni, come dimostra l’esultanza dei ricercatori che portano in trionfo il paleontologo Massimo Delfino, autore del ritrovamento, subito dopo la scoperta del fossile. Nel gruppo, da destra: Clément Zanolli, Tsegai Medhin, Alfredo Coppa, Massimiliano Ghinassi, Massimo Delfino, Mauro Papini, Francesco Genchi.

Fotografia di Clément Zanolli

Il frammento di osso frontale visto di lato e dall’alto. I reperti fossili umani trovati nel sito sono, oltre alla porzione di osso frontale umano, comprensiva del toro e di parte dell’orbita, anche tre ulteriori frammenti di calotta cranica e altri elementi minori dello scheletro post-craniale. Secondo i ricercatori, i reperti sono verosimilmente attribuibili a Homo ergaster/erectus.

Fotografia di Tsegai Medhin

Massimo Delfino, paleontologo presso l’Università di Torino, mostra il reperto appena scoperto, il 13 dicembre. “Devo dire grazie a un momento di noia”, racconta il paleontologo. “Stavamo rilevando la posizione di alcuni reperti, un lavoro di totale routine, e io mi stavo annoiando sulla mia linea, quando per puro caso ho trovato il frammento di cranio”.
Nel 1995 nella stessa area il paleontologo Lorenzo Rook dell’Università di Firenze aveva trovato il cranio di Homo ergaster/erectus UA-31 in uno stato eccezionale di conservazione. Il fossile è conosciuto come “la Signora di Buya”.

Fotografia di Tsegai Medhin

Veduta dell’area del bacino di Buya. Questa regione, che si estende per numerosi chilometri nella Dancalia eritrea, dopo la nuova scoperta appare come una delle aree a più alta potenzialità per la ricostruzione della storia evolutiva della nostra specie.  “I risultati ottenuti nel corso della campagna di scavo ed esplorazione del 2010 premiano l’impegno e la costanza di tutto il gruppo di ricerca”, dice Lorenzo Rook, paleontologo presso l’Università di Firenze che nel 1995 scoprì il cranio della Signora di Buya”. Con questa nuova scoperta la regione della Dancalia eritrea si conferma di cruciale interesse per la paleontologia e paleoantropologia del Pleistocene inferiore africano”. Le attività di ricerca ed esplorazione connesse al progetto Buya, hanno ottenuto nel 2005/2006 il supporto del Committee for Research and Exploration della National Geographic Society, che ha supportato il progetto (coordinato dallo stesso Rook) dal titolo “Pleistocene Homo erectus (and other mammals) dispersal pathways along the western coasts of the Red sea (Eritrea and Sudan)“.

Fotografia di Tsegai Medhin

Francesco Genchi (a destra) e Bereket Asmarom (a sinistra) osservano la superficie di scavo al sito di Wadi Aalad sotto lo sguardo vigile di uno dei guardiani locali Saho.
L’area di Mulhuli-Amo, raccontano i ricercatori, è molto ricca di manufatti litici di tipo acheuleano (strumenti a forma di mandorla scheggiati da entrambi i lati risalenti a un periodo compreso fra 750.000-120.000 anni fa circa), che ricoprono a centinaia la superficie intorno al sito.

Fotografia di Tsegai Medhin

L’archeologo Yosieph Libsekal, direttore del Museo Nazionale dell’Eritrea, mentre lavora al recupero dei resti di un mammifero fossile al sito di Buya. Infatti, raccontano gli studiosi, assieme ai manufatti sul sito è presente una grande quantità di fossili animali: elefante, ippopotamo, rinoceronte, bufalo, antilopi di varie taglie, coccodrilli, tartarughe, varani, serpenti. Questi resti testimoniano la ricca biodiversità che caratterizzava l’ambiente all’epoca di formazione del deposito.  Inoltre, spiegano ancora i ricercatori, questi ritrovamenti indicano che Homo visse in un ambiente subtropicale umido e che il sito rappresenta ciò che rimane di un antico delta sulla sponda di un lago.

Fotografia di Tsegai Medhin

I ricercatori impegnati nello scavo a Wadi Aalad dove, nel 1995, fu recuperato il cranio fossile di Homo erectus/ergaster, conosciuto come  la Signora di Buya. L’equipe che lavora al progetto è composta da ricercatori del Museo nazionale Eritreo di Asmara, dell’Università di Roma “La Sapienza”, dell’Università di Firenze, dell’Università di Padova, dell’Università di Torino, del Museo “Pigorini” di Roma, dell’Università di Tarragona e del Museo Nazionale di Storia Naturale di Parigi. Il “Progetto Internazionale Buya” è stato recentemente finanziato nell’ambito dei Progetti Grandi Scavi di Ateneo dell’Università di Roma “La Sapienza” e dalla Direzione generale per la Promozione e Cooperazione culturale (Missioni archeologiche) del Ministero degli Affari Esteri. “La soddisfazione della nuova scoperta è velata dalla scomparsa di Habtom Kashai, tecnico del Museo di Asmara e collaboratore storico del Progetto Buia”, dice Ernesto Abbate, geologo presso l’università di Firenze e coordinatore del progetto Buia dal 1994. “Habtom è stato il primo collaboratore eritreo a trascorrere stages di formazione in Italia, presso il laboratorio di Paleontologia dei vertebrati dell’Università di Firenze”. Nelle prossime campagne, fanno sapere i ricercatori, si procederà allo scavo sistematico dell’area, finalizzato al recupero di ulteriori reperti umani fossili e alla più precisa definizione del contesto cronologico, ambientale e culturale.

1995 -

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Nabro volcano eruption 2011

Despite having undergone no historically reported eruptions,the Nabro Volcano erupted shortly after midnight local time on 13 June 2011, after a series of earthquakes ranging up to magnitude 5.7 in the Eritrea-Ethiopia border region. The ash plume was observed on satellite drifting to the west-northwest along the border, spanning about 50 km wide and several hundred kilometres across in the hours immediately following the reported eruption, while reportedly reaching 15 km (8 miles) high.

On 13 June US Secretary of State Hillary Clinton had to cut short a trip to Ethiopia due to the ash cloud, which was projected to enter a west-to-east jetstream and enter the atmosphere of countries such as Egypt, Yemen, Israel, Iraq, Jordan, Sudan, Somalia, Djibouti and Saudi Arabia.

The ash cloud began disrupting air traffic as UAE-based Emirates flights were cancelled along with Saudi Arabian Airlines flights. Luxor International Airport in Luxor, Egypt was placed on a state of emergency.

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Lo sfruttamento del potassio in Dancalia: Dallol e Allana Potash

Etiopia: Fattore K

La Dancalia, gli affari, il potere

Fattore K – A.Semplici – Nigrizia Articolo PDF

Articolo di Andrea Semplici http://www.andreasemplici.it/cms/

Da Nigrizia di ottobre 2010: http://www.nigrizia.it/sito/notizie_pagina.aspx?Id=10122

Giacimenti di potassio nell’area di Dallol, nel deserto dancalo. Ai primi del ’900 hanno fatto gola alla Compagnia mineraria italiana e poi, dopo la Seconda guerra mondiale, a una multinazionale Usa vicina alla Cia. Oggi, per questo concime chimico molto ricercato, è in campo una società mineraria canadese, che ha assoldato un ex comandante Onu a Sarajevo e che potrebbe mettere d’accordo Addis Abeba e Asmara. Ma delle ricadute ambientali nessuno si preoccupa.

Dk-10-01. Il linguaggio delle società minerarie, come tutti i linguaggi tecnici, deve essere decriptato. Niente è trasparente e comprensibile. Gli acronimi non spiegano: è roba da addetti ai lavori. Le due lettere e i quattro numeri indicano un pozzo profondo, trivellato poche settimane fa in un angolo della Dancalia, nell’Etiopia più lontana, a meno di venti chilometri di distanza dall’instabile confine con l’Eritrea.

Il giacimento di potassio (il potassio è K nella tavola degli elementi), frammento di una riserva valutata in 105 milioni di tonnellate, è poco oltre i cento metri di profondità. Il primo scavo è stato completato il 13 luglio scorso. Si è lavorato proprio quando le temperature, in una delle fornaci della terra, sono insopportabili. In estate, fra maggio e settembre, non si cava più nemmeno il sale in questo deserto, che è una delle più profonde depressioni terrestri. In quei mesi, laggiù, tutto è immobile: nessuna carovana si azzarda ad avvicinarsi alla Piana del Sale. Ma, quest’anno, questo deserto, assoluto e inospitale, è stato popolato da geologi canadesi e olandesi, ingegneri giramondo che hanno trivellato la crosta salina per verificare con i propri occhi l’esistenza di uno dei più grandi giacimenti di potassio al mondo.

Farhad Abasov, riservatissimo amministratore delegato dell’Allana Potash, nuova multinazionale del potassio, non ha nascosto la sua soddisfazione: «Dopo quarant’anni, viene scavato un nuovo pozzo in Dancalia». A leggere i comunicati ufficiali, quanto è stato trovato è superiore alle previsioni più ottimistiche dei geologi canadesi. La corsa mondiale al potassio appare oggi più frenetica dell’antico assalto ai filoni d’oro in Alaska. E passa anche per le solitudini della Dancalia. Questa è una storia di denaro e potere.

Mi sono imbattuto nell’Allana Potash mentre stavo scrivendo un romanzo ambientato in Dancalia. Avrei dovuto accorgermene ben prima. Durante il mio ultimo viaggio, lo scorso febbraio, avevo pur visto ingegneri al lavoro con il teodolite e caterpillar cinesi sbancare intere colate di lava per costruire nuove strade. C’era già un micro villaggio di container, destinato a ospitare i futuri trivellatori. Ma solo ora, grazie al web e ad amici esperti della storia della Dancalia, ho messo in fila i protagonisti di una storia durata cento anni. Una storia in una terra che è difficile anche immaginare. Un deserto di lava, sale, geyser, polvere, potenze geotermiche. Un deserto di vulcani e fondali marini riemersi. Eppure, i potenti degli affari hanno avuto tempo e occhio anche per queste solitudini.

All’inizio, gli italiani

Questa storia ha mosso i suoi primi passi un secolo fa. Furono due fratelli, a loro modo straordinari (geologi autodidatti, avventurieri all’Indiana Jones, cercatori di miniere in giro per il mondo), a rendersi conto che sotto Dallol vi era del potassio. E, speravano, anche molto altro. Erano i fratelli Adriano e Tullio Pastori: arrivati in Dancalia ai primi del ’900, furono forse i primi occhi bianchi a scorgere la terribile meraviglia di Dallol. Dallol è una sorta di isola ai confini della Piana del Sale, un vulcano bizzarro e fantastico, un’architettura geologica di geyser, acque ribollenti, pinnacoli, micro vulcani, concrezioni saline, pozze dai colori fuori gamma. È attorno a questo isolotto che vi sono i depositi di potassio.

I due fratelli Pastori se ne accorsero e riuscirono, nel 1912, a ottenere una concessione mineraria dal Negus d’Etiopia (che mal controllava questa regione estrema del suo regno, ai confini della colonia italiana dell’Eritrea). La concessione aveva una durata di 35 anni. Un affare troppo grande per i due fratelli. La concessione, senza che nulla fosse rivelato agli etiopici, passò di mano nel 1917: per sfruttare il potassio della Dancalia scese in campo una “multinazionale” italiana, la Compagnia mineraria coloniale (Cmc), fondata a Tripoli, in Libia, con sede amministrativa a Torino e direzione tecnica ad Asmara, capitale della colonia italiana dell’Eritrea.

La Compagnia era controllata dalla Banca Italiana di Sconto, istituto di credito legato alla grande e nascente industria del nord (Fiat, Ansaldo). Il suo principale azionista si chiamava Giovanni Agnelli, il capostipite. Erano gli anni della Prima guerra mondiale e gli industriali del nord (l’amministratore delegato era Riccardo Gualino, fondatore della Snia-Viscosa) trovarono tempo e denaro per occuparsi di una cava in Dancalia. In guerra c’è sempre chi muore e chi fa i soldi.

Il potassio, in quei tempi di conflitto, era merce preziosa. La più grande miniera era a Stassfurt, territorio prussiano, territorio nemico. E il potassio, allora, serviva per fabbricare munizioni. A partire dal 1917, i cavatori di Dallol spedirono in Occidente 20mila tonnellate l’anno di sali potassici. Fu perfino costruita una sorprendente ferrovia a scartamento ridotto, per soli usi industriali, fra il confine dell’Eritrea e le coste del Mar Rosso. La Compagnia è definita «misteriosa» da chi ne ha studiato la storia.

Ma le guerre non durano in eterno. Finito il primo conflitto mondiale, anche il business del potassio dancalo declinò. Gli italiani, per qualche anno, lo vendettero ai giapponesi, ma la Compagnia non era più un grande affare per i magnati torinesi e fu liquidata nel 1929. La miniera fu abbandonata a sé stessa. E nel deserto dancalo furono dimenticati, senza salari né cibo, operai e tecnici. Nessuno ha speso una parola per dirci il destino degli “indigeni” che avevano lavorato a Dallol: gli afar, popolo di quella terra, non hanno mai avuto cantori.

L’ultimo presidente della Compagnia fu Ostilio Severini, un chimico italiano. Un prestanome più che un amministratore, così a occhio. Con una coincidenza: Severini aveva realizzato il primo impianto italiano di fosgene, uno dei gas tossici che saranno riversati sull’altopiano etiopico durante l’invasione italiana.

Il ciclo americano

Tullio Pastori era un testardo. Dopo la chiusura della Cmc, tornò in Dancalia. Nel 1933, vigilia dell’invasione italiana dell’Etiopia, ottenne dal Negus una seconda concessione mineraria. Ma, ancora una volta, era un pesce piccolo: in mano aveva carta straccia. Finì la Seconda guerra mondiale. L’Impero africano dell’Italia fascista era già stato spazzato via dal 1941.

Nel dopo-guerra sono gli americani ad andare in Dancalia. Al posto di Giovanni Agnelli, c’è un uomo che s’è fatto da solo, figlio di un pescatore di Long Island. Si chiama Ralph Parsons, un ingegnere aeronautico. Nel 1944 ha fondato un’azienda di ingegneristica e costruzioni. È un tipo sveglio: ha inventato nuove tecniche di scavo e ha intuito il valore del potassio etiopico. E anche lui ottiene una concessione da Hailé Selassié, l’imperatore, fedele alleato degli Stati Uniti.

In nove anni di prospezioni, la Ralph Parsons Corporation scava 300 pozzi attorno a Dallol. Cercano e trovano il giacimento di potassio. Ma ad Asmara, nei circoli italiani, si è sicuri che, sotto la crosta salina, gli americani stiano cercando uranio (sono i primi anni dell’era atomica e c’è la corsa agli armamenti nucleari). Di certo, voci senza fondamento. Ma Ralph Parsons non è un tycoon qualsiasi. In passato è stato amico e socio di John McCone, un altro ingegnere californiano, un altro businessman destinato a diventare prima direttore della Commissione atomica degli Stati Uniti e poi, fra il 1961 e il 1965, anni duri della Guerra fredda, potente direttore della Cia. Proprio negli anni in cui Parsons è al lavoro in Dancalia. Solo coincidenze?

Ma nemmeno la storia della Ralph Parsons finisce bene: i pozzi sono invasi da acque sotterranee; i loro cantieri diventano un obiettivo per la nascente guerriglia indipendentista degli eritrei; i siti aperti presso Dallol sono indifendibili. Così, nel 1967, gli americani devono sloggiare dalla Dancalia in tutta fretta. Con la Parsons Corporation lavoravano anche aziende canadesi, i cui tecnici sono i migliori al mondo (non a caso in Canada si trova il più grande giacimento di potassio). L’italiano Piero Crossino, uno dei responsabili tecnici della Ralph Parsons, rivela a Luca Lupi, il più scrupoloso dei ricercatori italiani che si sono occupati di Dancalia, di aver il dubbio che i canadesi volessero, in realtà, quasi boicottare il giacimento di Dallol: «Sarebbero crollati i prezzi sul mercato». A rimetterci sarebbero state proprio le grandi società minerarie canadesi.

Canadesi e… cinesi

Scacciati italiani e americani, in Dancalia ricompaiono i canadesi. Sono cocciuti e riservati. Fanno parte della casta dei supermanager. E sono prontissimi ad allearsi con i cinesi, nuovi protagonisti dell’economia africana. I cinesi investono due milioni di dollari nell’Allana Potash. Canadesi, cinesi e australiani vogliono scoperchiare tutta la Dancalia per cavarne via i 105 milioni di tonnellate di potassio.

Farhad Abasov ha buone ragioni per esaltare la sua società: il potassio è il più universale dei concimi chimici; aumenta il rendimento dei terreni; accresce la resistenza delle piante alle malattie; il suo prezzo si sta di nuovo impennando (ha già raggiunto i 600 dollari per tonnellata e le quotazioni del minerale sono raddoppiate in un anno). In questi mesi, è in corso una guerra violenta fra le grandi multinazionali minerarie per accaparrarsi le riserve disponibili di K. Le previsioni di un forte aumento dei consumi di cibo (da parte di cinesi e indiani, soprattutto) e la diminuzione di terre arabili sul pianeta (da un terzo a un quinto di ettaro pro capite in 30 anni) stanno facendo impazzire il prezzo del potassio e dei fertilizzanti chimici.

Cinque paesi (Canada, Russia, Bielorussia, Germania e Brasile) controllano il 97% delle riserve mondiali. Il Canada, da solo, grazie all’immenso giacimento di Saktchewan, ne possiede ben più della metà. E oltre 150 nazioni sono costrette a fare la fila davanti alla porta di questi colossi minerari per avere potassio per le loro terre. Cina, India e Corea stanno comprandosi mezza Africa per coltivare il cibo destinato alla loro popolazione e hanno bisogno di potassio per spremere queste nuove terre.

Il destino della Dancalia appare segnato. Il risiko minerario dancalo è lo specchio dei nostri tempi: anche indiani e australiani hanno concessioni in Dancalia. I cinesi stanno asfaltando le antiche piste dei nomadi afar e dei cavatori del sale. I canadesi spiegano che il potenziale del giacimento è superiore a quello, grandissimo, degli Urali. Hanno ottenuto una concessione per 150 km2, un quarto della superficie della Piana del Sale.

 

I documenti dell’Allana Potash hanno un pregio: non sono reticenti e affermano che occorrono investitori (non bastano i cinesi della China Mineral United Management). E allora cercano di attrarre compratori delle azioni della compagnia, magnificando al meglio la loro merce. Per convincere i più dubbiosi, non esitano a sostenere che l’Etiopia è «un paese con una forte crescita economica e un ambiente favorevole agli investimenti» (senza dire che sta quasi in fondo alla lista delle nazioni per sviluppo umano: dodici posizioni dall’ultima). Dicono che in Etiopia non c’è corruzione. E rassicurano che in Dancalia «non esistono problemi legati a questioni ambientali ». Come dire: in uno dei luoghi più fragili della terra, nessuna emergenza ambientale può ostacolarci.

Insistono poi sulle «grandi potenzialità » dell’investimento e sul «facile accesso » ai porti sulla costa del Mar Rosso per l’esportazione del potassio. Osano addirittura segnare sulle loro mappe il tracciato della ferrovia fino alla baia di Marsa Fatma (ricalcando quello percorso dagli italiani). Peccato che non dicano che, fra il giacimento e il mare, c’è il confine con l’Eritrea, che quella frontiera non è mai stata veramente demarcata, e che vi sono schierati eserciti in armi, in un perenne stato di guerra-non guerra fra Addis Abeba e Asmara. Tanto varrebbe dire che da quella parte non si passa. A meno che – e qualche circolo diplomatico già lo sussurra – l’Eritrea non venga meno alla sua intransigenza e bellicosità, convinta dal denaro figlio del potassio. Potenza degli affari!

Altro dettaglio non irrilevante: la Allana Potash avverte che la cava avrebbe il più basso costo di gestione al mondo. Ovunque occorrono soldi per cavare potassio, ma in Etiopia il costo del lavoro è «significativamente più basso».

La galleria fotografica offerta dal sito dell’Allana Potash è accurata e gli investitori possono ammirare le meraviglie geyseriane di Dallol. Le didascalie, però, rasentano l’ineleganza, quando avvertono: «È nostra proprietà».

Un’ultima curiosità: fra i direttori della società canadese, oltre a grandi esperti di oro, potassio e uranio, c’è un generale in pensione. Non un generale qualsiasi, ma Lewis MacKenzie, ex comandante, molto discusso, delle Nazioni Unite a Sarajevo. Che ci fa un generale, dalla fama di filo-serbo, in una società mineraria?

Quante coincidenze per il fattore K in terra di Dancalia! Il filo rosso degli affari, tessuto in un secolo da Giovanni Agnelli senior, da una multinazionale in qualche modo vicina alla Cia e da una spregiudicata società mineraria canadese, sembra oggi chiudersi. L’Africa è solo il teatro che ospita una commedia di soldi e potere, il palcoscenico della casta dei potenti della terra.

Il 23 agosto scorso, la Allana Potash ha perforato un altro pozzo. Si chiama Dk-10-04. Il paesaggio della Dancalia appare destinato a cambiare.

Nota bene

Le notizie storiche sulla cava di Dallol sono tratte dai libri-enciclopedia di Luca Lupi, Dancalia, editi dall’Istituto geografico militare.

I documenti dell’Allana Potash sono sul sito della multinazionale:

http://www.allanapotash.com/s/Ethiopia_Project.asp?ReportID=373997

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