Diario di viaggio della spedizione di dicembre 2012
di Tina Iannotta
La tanto desiderata Dancalia immaginata sognata e riguardata più volte nei libri eccola qui! Questo viaggio ci è stato raccontato precedentemente nella figurazione del percorso a Pisa, da Luca, e ora lo ricostruisco a posteriori come presumo di fare in questo scritto per non perderne la memoria. Mi sorge spontaneo condividere un interrogativo: “Dopo la Dancalia il nostro prossimo viaggio sarà tra i cercopitechi bianchi della Groenlandia o a dorso di armadillo in Centroamerica?”
Domenica 2 dicembre 2012
Alle sette della mattina è ancora l’alba quando atterriamo all’aeroporto di Addis Abeba. Il volo con l’Ethiopian Airlines è stato ottimo anche se mi viene da notare che la compagnia rispetto al passato avrà senz’altro fatto un passo avanti associandosi con la Star Alliance, ma ne ha fatti molti indietro nel servizio ai passeggeri. Le prime ore all’aeroporto trascorrono con lo sguardo calamitato sul nastro trasportatore e assopita in quella lieve vertigine inizio a compenetrarmi nella lentezza ipnotica dello spirito del posto. Abbiamo qualche problema con il bagaglio sia col mio che con quello di Andrea: tardano un paio d’ore prima di arrivare. Luca ci sta aspettando e ci accompagna all’hotel Jupiter dove siamo attesi da una generosa Continental Breakfast arricchita anche da frutta tropicale. L’aria è fresca e frizzantina: siamo a 2600mt Addis Abeba è la terza capitale più alta del mondo. Con tutto il gruppo proveniente da ogni parte d’Italia: siamo in dieci, ci rechiamo in banca per cambiare gli Euro con i Birr, la moneta locale e poi di corsa all’aeroporto nazionale a prendere il volo per Macallè. Che dire della statua equestre di Ras Sejum che lì troneggia nella piazza antistante? Era il più ambizioso dei ras tigrini che aveva un fermo controllo sull’Impero con forti poteri decisionali. Alle sue spalle le nostre quattro Land Cruiser ci aspettano Il nostro autista si chiama Nardò, è un uomo taciturno dall’aspetto bonaccione. Man mano che la strada ci porta verso sud la vista corre in un paesaggio di ambe intervallate da distese con alti eucalipti e grandi acacie spinose con le forme dei più svariati ombrelli. C’è gente in cammino, animali al pascolo e quante euforbie candelabro che parlano dell’hoiè-hoiè! Attraversiamo Adigrat e penso di collocare in uno stile di vita alcuni italiani miei amici che qui hanno vissuto per anni, mi riesce difficile. Avranno per caso dato alito al loro spirito pioneristico, in quel posto, tutti soli. Procedendo la strada diventa sempre più Africa: quella sterrata si sostituisce a quella asfaltata. I tornanti tra le ambe e i sobbalzi tra i fossi sollecitano la nostra colonna vertebrale. Arriviamo al buio al Gheralta lodge del Tigrai costruito da un certo Silvio ingegnere italiano delle Ferrovie Dello Stato che lì ha investito tutto il suo TFR e ha chiuso con l’Italia. E’ quasi da invidiare! Il lodge è semplice, spartano e pulito e denota il buon gusto e l’armonia dell’eleganza. mi piacerebbe ritornarci!
Lunedì 3 dicembre 2012
Stamattina è una splendida giornata ed è l’ultima volta che abbiamo dormito in un letto e fatto la doccia. Il cielo è terso l’aria è pulita e fresca e mi sento benissimo. Al nostro gruppo si sono uniti altri due compagni Sonia e Nino. Oggi incomincerà il nostro vero viaggio. Attraversiamo il Tigrai. Sempre strade sterrate, villaggi con gente che saluta e bambini festosi. Respiro, annuso l’aria osservo la semplicità di questa gente, fatta di antichi gesti, di azioni quotidiane volte a preparare il cibo, a prendere l’acqua, a lavorare con antichi metodi la terra, a portare gli animali al pascolo, gente che vive di poco, di essenziale come sarebbe moralmente corretto che facessimo tutti: è la mia Africa e sono in sintonia con l’anima del mondo. Lo spirito rassegnato degli asinelli carichi fino all’inverosimile è nell’espressione eloquente dei loro occhi lanceolati che dicono: “Non abbiamo abbastanza autocoscienza per sentirci sfruttati.”
Luca ci spiega gli innumerevoli sconvolgimenti geologici che hanno fatto sì che il mare che occupava questa regione lasciasse il posto ad una delle maggiori depressioni della terra e a temperature che raggiungono livelli al limite della sopportazione: la Dancalia è una delle regioni più sconosciute ed inaccessibili del continente africano. Le varie stratificazioni che partono dall’era del terziario ha dato origine a quei rilievi che sembrano guarniti di decorazioni dolciarie ideate da un abile pasticciere: i monumenti remoti del nostro passato.
A Berhale ci fermiamo per il pranzo. La bertuccia legata all’angolo del locale intrattiene con i suoi spontanei spettacoli i clienti del posto.
A Berhale occorre fermarsi necessariamente prima di entrare nel bassopiano dancalo per prendere i permessi per entrare nello stato Afar e gli uomini di scorta della polizia Afar che seguiranno la spedizione durante tutta la sua permanenza nel territorio.
Proseguiamo alla volta di Ahmed Ela dove pernotteremo. Abbiamo un cuoco bravissimo che ci sorprende con saporite cenette introdotte sempre da graditissime zuppe calde. Il cibo è talmente saporito che anche in quel posto così sconosciuto ed inaccessibile ci fa sentire a casa. E’ la mia prima volta che dormo sotto il tetto della volta celeste nel deserto. L’eloquente descrizione di Enrico sul cielo e le costellazioni con il diletto del vento caldo e degli occhi discreti delle stelle accompagna i nostri sonni.
Martedì 4 dicembre 2012
Oggi è la volta di Dallol, siamo entrati in quella che è la Dancalia pura, dove la natura regna sovrana. Luca spiega la formazione delle pozze d’acqua e degli hornitos
Breve filmato della Piana del Sale ricoperta di sedimenti marroni in direzione Dallol
E’ una meta singolarmente bella per tutta una serie di attività geotermiche che formano delle distese dai colori iridescenti dal giallo all’arancio al verde e degradano in numerose sfumature fino a terminare nell’amaranto Danno vita ad uno spettacolo surreale ma allo stesso tempo bizzarro. Di ogni pozza Luca ha fatto i prelievi e ognuno di noi ha collaborato secondo le proprie possibilità.
Siamo scortati dai soldati federali e dai poliziotti dancali muniti di kalashnikov e con penso siano bombe inserite nel cinturone. Sulle prime eravamo un po’ incuriositi della loro presenza, ma dopo poco nessuno di noi ci ha fatto più caso. La guida dancala, con un lieve ciabattino, saltellando come un cerbiatto ci conduce sui percorsi che sembrano pietraie, ma calpestate sono talmente friabili che sembra vogliano inghiottire i piedi.
Il caldo è soffocante e rinuncio ad andare ad osservare i dancali che tagliano il sale. In compenso osservo le carovane che lo trasportano e gli Afar che le guidano: sono tutti talmente esili che si confondono con le gambe dei loro dromedari .
Breve filmato carovane dromedari
All’ombra di una scogliera tondeggiante che nel mesozoico delimitava un cratere “freatico” Assa Ale, il nostro cuoco con Marta, l’aiutante, ci attendono per il pranzo. Incredibile, quasi da non credere: abbiamo mangiato un’ottima lasagna nel deserto e poi insalate fresche con verdure che coltivate ancora con metodi naturali mantengono il sapore originale. Gustiamo il tutto allietati dall’escursus storico di Luca che ci illustra le tappe salienti dai primi pionieri di fine ottocento alle vicissitudini di ras negus e signorotti.
Breve filmato nel cratere freatico dell’Assa Ale
Dopo il riposino per far passare anche le ora più calde siamo tornati a Dallol per ultimare i prelievi nel lago Giallo e poi in quello Nero . Le distese di sale con bisciovite e le torri di sale di Dallol ci hanno catapultato in un’atmosfera così surreale da farci apprezzare quanto la natura è la sublime maestra di tutte le opere di somma creatività. Sarebbe la perfetta location per ispirare Stephen Spielberg in un incontro ravvicinato di chissà quale tipo.
Sopra: Lago GialloBreve filmato Lago Giallo, misura temperatura 1
Breve filmato Lago Giallo, misura temperatura 2
Sopra: Lago Nero Sopra: Torri di DallolMercoledì 5 dicembre 2012
Quando si dorme sotto le stelle è inevitabile svegliarsi con le prime luci dell’alba. Oggi ci aspetta una lunga e faticosa giornata. Dopo aver percorso svariati km di una pista sabbiosa è d’obbligo una pipì stop a Waideddo un’oasi di palme dum.
Ripreso il cammino la chiudi pista delle nostre Land Cruiser ha forato e con Fede abbiamo subito coniato la massima del giorno “The last is the list” Con la velocità dei meccanici da formula uno gli autisti hanno subito sostituito la ruota e un’altra volta in pista senza nessun inconveniente fino a Kosrawat. Nel percorso incontriamo sempre il sorriso smagliante con gli occhi neri pieni di luce dei bambini che accompagnano i genitori e gli animali al pascolo e suppongo si sentano ricchi visto l’abbondanza del loro bestiame!
In questo villaggio solo Luca, Andrea e Fabrizio entrano nella capanna del capo: devono contrattare l’affitto dei dromedari per portare sull’Erta Ale tutta la logistica e un minimo del nostro bagaglio. Il pranzo sempre preparato da Emanuel e Marta ci viene servito in una rudimentale capanna. I nostri cuochi sono sempre dieci e lode! Le piste su cui si arrampica a marce ridotte la nostra Land Cruiser sono delle pietraie che ci fanno rimpiangere quelle dolci e scivolose della sabbia. Attendiamo il tramonto per metterci in cammino e raggiungere la cima dell’Erta Ale: sotto il sole cocente per noi Europei è proibitivo. Nel primo tratto il gruppo è parlottante, allegro anche se accompagnato da noiosissime ed appiccicose mosche A metà percorso ci hanno raggiunto i nostri dromedari partiti circa un’ora dopo; era già buio e le mosche erano finalmente andate a dormire. Superandoci hanno tracciato il nostro percorso con i loro escrementi sui quei pantani di lava ora del tutto pietrificata. Ci siamo fermati più volte per fare qualche pausa di riposo, il passo era sostenuto e le fermate necessarie. Mentre mi appartavo per fare i miei bisogni (Luca mi ha fatto bere come un cammello) una vipera di quelle tra le più velenose mi ha sbarrato il passo. Subito le guide Afar e i poliziotti si sono adoperati per ucciderla e a me è dispiaciuto molto. Se avessi saputo l’avrei fatta passare in sordina. Comunque siamo stati argomento di derisione per gli indigeni, abbiamo fatto tanto baccano e solo per un serpente velenoso, questi ferengi! Il senso di oppressione dell’asprezza delle pietre era alleviato dal cielo vellutato della notte puntellato da stelle scintillanti. Enrico si è cimentato in qualche spiegazione, ma per poco. Luca severo imponeva di guardare dove si mettevano i piedi e di questo gliene devo essere grata: arrivare al campo base per me è stata una sfida, un modo come misurare le mie capacità. Nessuno dei nostri parlava più, la stanchezza delle membra incominciava a gravare in un silenzio interrotto solo dal ritmo dei nostri passi e dal chiacchiericcio sommerso degli Afar che ci scortavano. Il gruppo è andato subito a vedere la caldera di notte. Io Ketty e Fabio siamo rimasti al campo: non volevamo perdere neanche un attimo del nostro riposo che in questi frangenti arriva come una benedizione!
Breve filmato dell’attività notturna del lago di lava dell’Erta Ale
Giovedì 6 dicembre 2012
Dormiamo dentro casupole di pietre sovrapposte per tetto una copertura di paglia. S’infiltra nelle feritoie una brezza notturna che ci tiene perfettamente temperati. Questi massi mi invitano all’abbandono di un sonno che si mimetizza con loro. Di queste casupole nessuna ha la porta, d’altronde che cos’è l’Africa se non un agglomerato di case senza porte? I soldati federali, i poliziotti e le guide Afar comunicano tra di loro entrando ed uscendo senza nessun riserbo: è l’essenza dello spirito di queste genti. Aspettiamo il calar del sole per ritornare a vedere la caldera.
Incredibile come ciò che appare immobile e statico come la crosta della terra può essere invece vivo e attivo quando questa ti mostra le sue viscere! Il lago lavico al nostro arrivo si è scatenato in un balletto d’accoglienza quasi da far invidia alle ballerine di hula hawaiane. La superficie della caldera, nera come la pece, ha dei sommovimenti che crepano la superficie come il caramello di un’enorme coppa di creme-brullèe. Improvvisamente si solleva una fontana di fuoco che piroetta e attraversa la caldera da una sponda all’altra. L’estremo calore di quel fuoco non è fastidioso, anzi si sente chiaramente che anche la nostra natura lo possiede come elemento primordiale.
Breve filmato dell’attività diurna del lago di lava dell’Erta Ale
Contemplavo profondamente rispettosa l’imponente danza della massa di magma che il favore delle tenebre evidenziava ancor di più e il suo passaggio annientava tutto ciò che avevo nella mente. Perfino la paura di questa potente minaccia scendeva nell’oblio. L’ultima magia, la sua attrazione: mai avrei immaginato di desiderare un tuffo in quel mare incandescente. Altro non ricordo persa com’ero a dare un senso a quel paradosso. Ora so che questo viaggio è stato abbondantemente ripagato solo dalla vista di questo portento della natura. Erta Ale era solo un nome dal sapore esotico, ora è qualcosa che mi appartiene nel profondo, non come qualcosa di scientifico da studiare, ma come un mio grande antenato. Al campo base, la sera c’è sempre Enrico che ci racconta l’eterna favola della buonanotte scritta in cielo dalle stelle.
Venerdì 7 dicembre 2012
Nonostante tutti i buoni propositi di partire all’alba non ci siamo riusciti. Molti dei nostri desideravano fotografare la “caliente matrona” in tutte le salse e nel repertorio mancava l’alba! Siamo arrivati a valle quando ormai i raggi del sole erano quasi perpendicolari sulle nostre teste. Mai tanto gradite le premure del personale: ci hanno fatto trovare delle bacinelle con l’acqua fresca per rimettere a temperatura i nostri corpi stanchi e accaldati.
Abbiamo percorso abbondantemente shekerati circa venti km sulle pietre laviche finalmente la pista sabbiosa che a confronto ci sembrava una comoda autostrada. Ci ospita per il pranzo la stessa oasi di Waideddo. Il caldo torrido e la sabbia infuocata non ci fanno godere neanche il riposo della sosta. Arriviamo ad Amhed Ela dove ci aspetta una favolosa doccia con secchio e bricco e gli hangareb piazzati davanti alle capanne dove alloggiano la cucina e i nostri bagagli sembrano appartenere ad un hotel a mille stelle.
Sabato 8 dicembre 2012
Oggi è la volta della risalita del fiume Sabba: la via del sale dove i dromedari che lo trasportano vanno ad abbeverarsi. (Io ho le vesciche ai piedi e i nostri percorsi a questo punto differiscono)
Breve filmato
Anche stanotte dormiamo all’aperto, a Melabiday. L’orizzonte è delimitato dalle Alpi Dancale, la mistica del deserto è sempre la stessa: il tutto che equivale al nulla. Sono i momenti che ci parlano dell’indispensabile del ritorno all’essenziale che rinforzano le fondamenta su cui stiamo edificando il percorso della nostra vita.
Domenica 9 dicembre 2012
Siamo ad Addis. Il nostro gruppo è dimezzato. Andrea, Enrico, Nino e Ketty non sono in forma, hanno la febbre alta e Luca ha dovuto cercare un medico etiopico per verificare la situazione e dargli assistenza sanitaria.
Ad Addis Abeba il traffico è caotico e la città è formata da alti palazzi vicino a basse catapecchie o moderne costruzioni vicino a fogne a cielo aperto. Non c’è un centro, non una periferia, in questo posto mi sento senza riferimenti, dispersa, vuota. Danilo ci accompagna in un negozio di souvenir. Il retrobottega è stracarico di oggetti tipici del posto. Vende anche oggetti antichi. Amedeo è tentato a comprare un “Debra Negast” che ha già un po’ di secoli. Anche se nessuno di noi è portato dal tira e molla delle trattative c’è comunque un’atmosfera divertente in un ritmo molto lento. Il proprietario ci offre un “Addis sciai” e alla fine usciamo tutti contenti. Per non parlare di Fabrizio che è riuscito a trovare non so quale speciale copri capo munito di particolari corna che a Roma gli è indispensabile per fare il capo tribù. Il ristorante dove siamo stati a mangiare era vicino al Museo Nazionale. Era d’obbligo andare a visitare quello scheletrino piccolo piccolo, da fare quasi tenerezza di Lucy, il primo ominide. Poi una corsa a Sciromedà Daniela aveva il desiderio di comprare qualche sciarpa caratteristica e il gavì che nel freddo della sera riconcilia con il calore della vita.